La relazione del sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli al Consiglio dei Ministri del 26 maggio u.s. ha fatto cenno ad alcune piste su cui intende muoversi il Governo per presentare un modello di scuola definito 4.0, in linea con il Decreto Legge PNRR/2- bis pubblicato sulla GU n.°100 del 30/4 e ora in discussione alle Camere, per aderire alle richieste dell’U.E. di innovazione del sistema formativo e per consentire l’accesso ai finanziamenti europei del Recovery Fund- Next generation EU.
Ambiziosamente la relazione aggiorna gli obiettivi di giugno per il piano di trasformazione del Paese, in tutto 30 di cui 18 definiti “conseguiti” e riguarda tutti i Ministeri: sullo sfondo la riconversione ecologica e il piano di trasformazione digitale della P.A.
In materia di istruzione, con il citato Decreto Legge è stata riformata la carriera dei docenti con la definizione di nuovi sistemi di reclutamento e di formazione.
Si prevede inoltre un Decreto ministeriale per l’adozione del piano Scuola 4.0 al fine di favorire la transizione digitale del sistema scolastico italiano per creare scuole innovative, nuove aule didattiche e laboratori, partendo dalla trasformazione di 100.000 classi in ambienti di apprendimento innovativi e alla creazione di laboratori per le nuove professioni digitali in tutte le scuole del II ciclo.
Dopo due anni di pandemia e di DaD a singhiozzo, il travaglio subito dalla totalità degli istituti tra norme, prescrizioni, divieti, profilassi, contagi, mascherine e banchi a rotelle finiti al macero ci si sarebbe accontentati di qualche solida rassicurazione sulla ripartenza a settembre dell’anno scolastico 2022/23 che inevitabilmente dovrà fare i conti con i problemi di sempre: carenze di organici, ritardi nelle nomine, classi pollaio, disabili senza sostegno, crescente doppia burocrazia sommando quella delle circolari ministeriali a quella dei progettifici della scuola dell’autonomia. Si profila invece la nascita di un nuovo organismo nella pletora soffocante di quelli esistenti: la “Scuola di alta formazione e formazione continua”, che affiancherà le Direzioni generali e i Dipartimenti esistenti, dovrà coordinarsi con le scuole del territorio e si avvarrà della consulenza di INDIRE e INVALSI. La solita ricetta italiana in stile burocratese e dai molti ingredienti agrodolci che istituisce nuovi centri decisionali anziché semplificare e razionalizzare quelli esistenti. Con tanto di Presidente, segretario generale, comitato di indirizzo e comitato scientifico internazionale. La Scuola di alta formazione dovrebbe occuparsi della formazione iniziale, in itinere e permanente del personale scolastico, attuata in via previsionale attraverso corsi a distanza, webinar, piattaforme zoom affidate ad Enti esterni di sedicenti esperti i quali dovranno aggiornare chi lavora nella scuola senza tuttavia aver passato essi stessi il vaglio di una verifica richiesta solitamente ai formatori. Si profila un guazzabuglio di dimensioni bibliche tra corsi di ogni tipo, attestati rilasciati al termine di lezioni teoriche a distanza, quiz e test finali di valutazione, secondo direttive generali della istituenda Scuola nazionale, da declinarsi negli accordi che i singoli istituti negozieranno con gli Enti e le Istituzioni del territorio: insomma di tutto e di più. Occorrerà un solido paracadute all’utenza dei corsisti per calare il profluvio di schemi teorici, diagrammi di flusso, sigle, acronimi, immancabili anglicismi nella propria realtà scolastica quotidiana. Non è chiaro a chi sarà affidato il controllo e la verifica dell’efficienza-efficacia di questo apparato faraonico e complesso, dentro il concetto di “produttività del pubblico servizio scolastico” : una volta nelle scuole giravano gli ispettori, ora sono una razza in via di estinzione, dopo che qualche Ministro ha cominciato a ridimensionare quelli che avevano vinto il concorso di accesso alla funzione ispettiva, per sostituirli con ‘yes man’ di provata fede, nominati con lo spoil system. La qualità è facile a decantarsi, molti sono i modi per attribuirsela in modo autoreferenziale e renderla competitiva in un sistema dove si incrociano le gerarchie della burocrazia ministeriale nei suoi cascami autarchici (direzioni regionali ed ex Provveditorati che cambiano nome ogni anno) e input innovativi generati dai singoli istituti. Ma appare chiaro che se manca un organismo interno ed esperto di controllo tecnico tutto diventa aleatorio e indimostrabile: infatti la burocrazia paralizzante e l’innovazione generata dall’applicazione di teoremi indimostrati producono una babele progettuale ingestibile e spesso fine a se stessa. I riscontri si hanno poi quando, terminati gli studi, gli studenti impattano con le competenze richieste dal mondo del lavoro. Un vecchio cruccio del Presidente CENSIS Giuseppe De Rita che vale la pena di riprendere in considerazione, visti i risultati impalpabili di questa “scuola delle parole”.
Tutto questo palinsesto organizzativo gigantesco che dovrebbe gestire la formazione iniziale e l’aggiornamento in servizio finisce per generare un tipo di cultura pedagogica senza previsione di riscontri.
I disastri che produce questo “sistema” (in atto da anni) li abbiamo letti nel Rapporto di Save the Children che segnala che uno studente su due al termine della scuola secondaria di primo grado (ex scuola media) non è in grado di comprendere ciò che legge. E questo è un bel guaio per la scuola ma anche per le famiglie: a chi devono rivolgersi per chiedere lumi e spiegazioni su questo fallimento scolastico se tutto l’apparato del sistema formativo è blindato nella difesa di se stesso?
C’è poi la questione del reclutamento del personale (docenti e ATA): il 30 maggio u.s. i principali sindacati nazionali avevano indetto uno sciopero su questo aspetto. Essi vorrebbero il ripristino di “corridoi” di ingresso a latere della via concorsuale, l’unica che permette una selezione degna di questo nome. E’ noto che nelle commissioni di concorso per l’accesso ai ruoli scolastici si correggono temi con decine di errori di ortografia, sintattici e grammaticali e si ascoltano prove orali ai limiti della licenza elementare. Se vogliamo che la scuola torni ad essere una cosa seria dobbiamo asciugare le lacrime di chi vorrebbe accessi ope legis per sola anzianità di precariato: anche i sindacati dovrebbero adoperarsi per fare in modo che coloro che siedono in cattedra non chiedano impegno e sacrifici nello studio ai propri alunni senza prima aver applicato a se stessi questa raccomandazione.
Le nuove modalità di reclutamento del personale della scuola previste nel Pnrr sembrano perseguire la via più selettiva delle prove concorsuali anche se appare farraginoso il complesso sistema dei crediti formativi.
Si sta discutendo contestualmente in via parallela sul rinnovo contrattuale di docenti e ATA: l’ultimo contratto nazionale risale al biennio 2016/18. Si ipotizza un aumento medio mensile di 50 euro netti che francamente rendono un castello di carte tutto il pregresso discorso sulla immaginifica scuola d’eccellenza, tanto è umiliante il corrispettivo economico offerto.
Vale la pena di ricordare che l’Ocse non segnala solo i ritardi del sistema scolastico italiano ma anche (insieme ad altre istituzioni) il fatto che il nostro personale della scuola sia il peggio retribuito d’Europa.
Francamente una vergogna che si protrae da anni, da quando si descriveva retoricamente la professione docente “una missione”. Questo vulnus va colmato riconoscendo agli insegnanti il ruolo sociale che svolgono: la formazione delle nuove generazioni su cui si basa il futuro del Paese.
Va stabilita una retribuzione dignitosa e aderente agli standard dei Paesi più civili: da sempre i professionisti della scuola italiana non ricevono un trattamento retributivo adeguato e questo vulnus va considerato quando si parla dei requisiti che si postulano per la scuola 4.0.
A quasi mezzo secolo dai ‘Decreti Delegati’ ci si aspetta una verifica seria per un salto di qualità certificata.