Quel no, che suona quasi pregiudiziale, di Enrico Letta, per il quale lui addirittura è “il più divisivo dei leader politici”, quel no che sembra neppure fare i conti con i numeri da maggioranza relativa, seppur non autosufficiente, del centrodestra in parlamento, ha l’effetto boomerang di mettere sempre più al centro Silvio Berlusconi nella partitissima del Quirinale.
Il Cav, secondo chi lo conosce bene da una vita, potrebbe avere ora, a maggior ragione, di fronte a sé una prospettiva da win-win. O il candidato non (auto) candidato, ma candidato ufficialmente l’altro ieri da tutto il centrodestra, scioglie “positivamente”, come gli chiedono Lega , FdI e partiti minori centristi, la riserva sulla sue intenzioni oppure può incassare un credito tale da conferirgli il ruolo di vero king maker della Corsa al Colle, togliendo al segretario del Pd il primato di un’eventuale proposta di candidatura a Mario Draghi.
Questo ruolo Berlusconi potrebbe svolgerlo in accordo con Matteo Renzi, il leader di Iv, potenziale co-kingmaker. Oppure lo stesso Berlusconi potrebbe tentare di nuovo “l’azzardo”. Stavolta in direzione Colle, – “azzardo” vero e calcolato, di quelli che cambiano connotati alla politica come la discesa in campo del ’94 – dalla quarta votazione, quando serve la maggioranza assoluta di 505 voti.
Se non dovesse farcela ad avere i voti in più che servono (una sessantina) ma dovesse mantenere tutti i 450 voti del centrodestra sarà un conto e cioè la coalizione resterebbe in piedi, pur con tutti i suoi problemi, ma se quei numeri venissero a mancare chi conosce bene le cose di Arcore immagina che a quel punto il fondatore avrebbe buone ragioni per dire addio alla sua creatura, fondata nel 1994, dando vita al bipolarismo. E Berlusconi si potrebbe lanciare verso altri lidi e ruoli come ago centrista della bilancia.
Da qui il timore di Giorgia Meloni che ha voluto venerdì scorso un secondo comunicato, sottoscritto da tutti tranne che da una parte dei centristi, in cui si dice no a ritorni al proporzionale. Ed ecco perché, contrariamente a certe ricostruzioni, sarebbe avvenuto l’opposto e cioè che Berlusconi avrebbe chiesto a Matteo Salvini e Meloni precise garanzie intanto sul fatto che assicurino tutti i loro numeri.
La scena andata in onda a Villa Grande a Roma rimette al centro il Cav anche nello stesso centrodestra, riconfermandone appieno il ruolo di leader. Con voti che pur minori rispetto a quelli degli alleati si pesano ma non si contano, come per Enrico Cuccia le azioni, dal momento che plasticamente ancora una volta è apparsa netta l’immagine che Forza Italia è Berlusconi e lui è il dominus della coalizione.
Nel ruolo da win-win lo ha messo ieri su Facebook l’ex storico parlamentare azzurro Massimo Palmizio, ex coordinatore dell’Emilia Romagna, ma soprattutto uno dei 27 uomini azzurri di Publitalia che con Marcello Dell’Utri furono il vero embrione di Forza Italia. Scrive Palmizio, che anche per conto del Cavaliere andava a trovare il suo ex amministratore delegato a Rebibbia: “E comunque da oggi e di nuovo, come sempre, ha trionfato. Dopo avere ottenuto l’appoggio incondizionato di Meloni, Salvini, Brugnaro, Cesa e Lupi sarà lui a decidere se sciogliere la riserva. È lui, è sempre stato lui, il primo attore. Agli altri i ruoli di caratteristi o comparse. È lui che deciderà di andare fino in fondo, e se andrà a fondo per la slealtà degli altri andranno a fondo tutti, o di rinunciare ed indicare un’ altra/o candidato. Che sarebbe votata/o immediatamente con maggioranza bulgara accompagnato da un senso di liberazione sia degli amici che dei nemici. Ma sarà lui a decidere. Come sempre”.
Potrebbe essere anche Letizia Moratti fra i candidati? Oppure anche Pier Ferdinando Casini, già alleato di Berlusconi nella Casa delle Libertà? Se non sarà ovviamente Berlusconi stesso o Draghi.
Alcuni retroscena un po’ curiosamente descrivono Berlusconi irritato e sorpreso dalla visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi prima del vertice a Villa Grande. Ma chi conosce bene le cose di Arcore e la ferrea lealtà di “Gianni”, insieme con Fedele Confalonieri, l’amico di una vita del Cav, immagina uno scenario opposto. E cioè che Gianni Letta, il gran diplomatico di Berlusconi sia andato a Chigi invece a spiegare a Draghi le reali intenzioni del presidente di Forza Italia. Intenzioni delle quali deve tener conto lo stesso premier anche naturalmente per le sue scelte future dopo il governo di emergenza nazionale. E se fosse alla fine, in una situazione che si incarta, lo stesso Gianni Letta, malgrado la sua ferrea volontà di restare dietro le quinte, la vera carta di riserva di Berlusconi? A quel punto per il nipote Enrico dire di no, seppure in un modo più soft, anche a suo zio diventerebbe un po’ surreale.
Intanto, Salvini al no che suona quasi pregiudiziale a Berlusconi da parte di Enrico Letta replica secco: “No a esclusioni, veti, arroganze”.