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Perché salute e diritto alla vita non sempre vanno a braccetto?

Sanità assolutamente prioritaria nella spesa pubblica? Parliamone. Il corsivo di Battista Falconi

 

«Per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro unitari», sottolinea la Corte Costituzionale, «devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il fondamentale diritto alla salute». Il pronunciamento della Consulta secondo cui i tagli alla Sanità vanno subordinati al risparmio in altri settori di bilancio pubblico, così da recuperare le risorse necessarie, solleva diverse perplessità. Dubbi che vengono oscurati dal velo di apparente buonsenso, o buonismo, secondo cui lo Stato è il buon padre di famiglia che, per comprare le medicine al figlio malato, evita di andare allo stadio o a mangiare la pizza fuori casa. Ma qualcosa non torna.

Intanto, nel merito tecnico, finanziario, socio-economico. Il nostro è un Paese eccezionalmente anziano e longevo, quindi il carico dell’assistenza sanitaria e sociale tende ad aumentare in modo particolare, ancorché esista un ammortizzatore famigliare che regge discretamente, connesso ai servizi pubblici mediante concessioni di tempo e agevolazioni a chi cura un parente. Ma il carico sulla Sanità resta oltre la misura che possiamo o che vogliamo permetterci, per varie ragioni fra le quali anche la disorganizzazione, l’inefficienza, la duplicazione di servizi, la mancanza di coordinamento, la faglia tra medici di base e ospedali. Basta entrare in un pronto soccorso o accedere a una prestazione specialistica per rendersene conto.

Possiamo continuare a pagare e basta, abbiamo davanti una chiara strategia correttiva? E scientifica? Abbiamo stabilito con sufficiente certezza su quali patologie e su quali modelli medico-farmaceutici puntare? Non sembra, a giudicare dal refrain sulle patologie che più incidono in morbilità e mortalità, come le oncologiche e le cardio-circolatorie. Non esiste ancora, al mondo e non solo in Italia, un sistematico utilizzo dei big data mediante l’intelligenza artificiale, che permetta di puntare a un’efficace medicina personalizzata sul profilo clinico e genetico di ciascun individuo. Né una visione coerente e convincente del modello di sopravvivenza cui ispirarsi, nel momento in cui qualcuno prevede possibilità di ulteriori e significativi allungamenti (previsione contestata da altri, va detto).

C’è poi un aspetto più di fondo: il principio della supremazia della salute, considerata come diritto primario, sovrano o tiranno, a seconda dei punti di vista. Ovvio solo in apparenza. Che l’interesse pubblico privilegi questo aspetto della vita individuale e sociale poiché precede qualunque altro, per esempio l’interesse economico, cozza con una realtà intersecata in modo più complesso. Potrei allora, per privilegiare la salute, impedire i comportamenti che la mettono a rischio, ridurre ulteriormente i limiti di velocità stradale, la commercializzazione e il consumo di bevande e alimenti notoriamente insalubri, figuriamoci poi le sostanze psicotrope. E qualunque cosa tenda a diventare compulsiva e nociva, come le connessioni on line (divieto che è già adottato, in forme e misure diverse, in giro per il mondo). Addirittura, potremmo incentivare fino all’obbligo i comportamenti virtuosi, il moto, l’esercizio fisico.

Il salutismo è una deriva estremamente insidiosa. E poi, se “dobbiamo” stare bene per poi lavorare, divertirci e fare ciò che ci aggrada, allora è anche vero che dobbiamo prima di tutto stare in vita. Il diritto alla vita è primario rispetto alla salute stessa. E qui si apre un altro fronte assai complesso di considerazioni etiche e giuridiche, che investono aborto ed eutanasia.

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