Le elezioni europee passano – una volta ogni cinque anni -, ma una certa idea dell’Europa resta. I voti vanno e vengono, ma sempre annunciano o certificano le grandi sfide che plasmano il continente.
Esemplare l’ultima delle sfide: non prendere posizione tra un aggredito e un aggressore, non significa mostrarsi neutrali, ma parteggiare per l’aggressore. L’Europa ha ritrovato la sua ragion d’essere il 24 febbraio 2022, quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina e i 27 Paesi dell’Unione non si sono voltati dall’altra parte, da allora contribuendo, anche con l’invio di armi, alla resistenza di un popolo pieno di dolore, dignità e coraggio. Quel giorno ha segnato la differenza tra l’Europa delle convenienze (ma chi me lo fa fare di mettermi contro Putin in un conflitto che non mi riguarda?) e quella delle convinzioni.
Se libertà, giustizia e pace – i francesi direbbero libertà, eguaglianza e fraternità – sono i valori che accomunano gli europei, gli europei non possono far finta di niente, sol perché i missili non sibilano sui cieli di Parigi, Berlino o Roma.
Ma la certezza che l’Europa rappresentasse il nostro destino, e non solo la memoria storica di un’area geografica, era già arrivata un paio d’anni prima al tempo di un nemico altrettanto insidioso: il Covid.
Per consentire ai cittadini del Vecchio Continente di riprendersi e alle economie degli Stati di volare, dopo estenuanti negoziati -nulla può essere semplice per chi dà voce a quasi 450 milioni di abitanti che si esprimono in 24 lingue -, l’Ue approvò un piano colossale da 2.018 miliardi di euro.
Ancora una volta prevalse non la convenienza (sarebbe stato più facile e meno oneroso dire “arrangiatevi” ai Paesi duramente colpiti dalla pandemia), ma la convinzione. Perché quei soldi sono stati investiti per costruire un futuro verde, digitale e resiliente per tutti.
Non c’è bisogno, allora, di evocare il programma Erasmus e la possibilità di viaggiare senza passaporto, di conoscere le culture altrui o riconoscere il benessere raggiunto per scoprire, parafrasando Benedetto Croce, perché non possiamo non dirci “europei”.
La pandemia in casa e la guerra alle porte di casa, il terrorismo anti-occidentale che in questi anni ha colpito a ondate, organizzate o di lupi solitari, i più diversi Paesi dell’Ue, tutto ciò ha portato alla luce le ben piantate radici comuni oltre ogni frontiera.
Siamo europei non per quella fredda bandiera blu a dodici stelline che fatica persino a sventolare, e che non fa venire i brividi dietro la schiena a nessuno. Neppure per l’invece impetuoso Inno alla Gioia, che è il “canto degli europei”. Gioia, appunto, perché la vita è anche ricerca della felicità, e noi occidentali amiamo ricercare.
Siamo intrinsecamente e allegramente europei, perché siamo italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e via elencando, e sempre lo saremo.
L’Europa non cancella, ma proietta tutte le nostre belle Nazioni e dà il senso compiuto dello stare insieme. Una più grande famiglia.
Gli unici euroscettici che sono andati fino in fondo, i britannici con la Brexit nel 2016, oggi farebbero i salti mortali, se non fossero così orgogliosi, per tornare indietro. E alle porte dell’Ue già bussano altri Paesi. Perché anche una certa idea dell’economia, sociale, regolata, previdente e previdenziale, fa parte dell’identità condivisa e intrisa di tanti e grandi miscugli: da Roma antica alla Rivoluzione francese, passando per il Cristianesimo, per il Rinascimento, per la Rivoluzione industriale, nonostante secoli di guerre fratricide e financo mondiali.
Solo la viltà politica e intellettuale di chi, europeo, sputa sul piatto dove mangia, e magari vieta a Papa Ratzinger di partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Roma, com’è successo, ma poi all’Università di Torino si prostra davanti a un imam che fa del suo sermone “un inno alla violenza”, come l’esterrefatta Anna Maria Bernini, ministro dell’Università, ha definito quel che pure è successo; solo l’ignoranza di chi abbatte i monumenti della nostra storia e la codardia di chi censura la grandezza della nostra arte, solo l’ignavia di chi cancella le denominazioni memorabili dalle nostre scuole e ne sradica le tradizioni, insomma solo le piccole miserie di un ideologismo intollerante possono negare l’evidenza: la fortuna e il privilegio di vivere nell’Europa in cammino.
Quest’Europa che crede nei diritti della persona e nei doveri delle istituzioni, si rivela solida e aperta all’universo come una cattedrale della nostra anima, quali che siano le nazionalità, lingue, idee politiche, religioni di 450 milioni di cittadini. E qualunque sarà l’effetto del voto, stavolta e tutte le altre volte.
(Pubblicato sul quotidiano Alto Adige)