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Presidenzialismo

Perché non mi convince la riforma costituzionale abbozzata da Casellati. L’opinione di Cazzola

La bozza di riforma costituzionale messa a punto dal ministro Casellati commentata da Giuliano Cazzola.

Suonate pure i vostri Alessandro Zan! Noi suoneremo le nostre Casellati. Capisco: il paragone è audace per tanti motivi non solo politici, ma anche di attitudini personali. Ma tra il ddl esibito, nella scorsa legislatura, come bandiera dei diritti civili a prima firma del garrulo senatore del Pd e quello, di carattere costituzionale che la titolare delle Riforme istituzionali porterà in Consiglio dei ministri, vi sono approcci analoghi nell’affrontare questioni, di diversa natura, ma delicati ed importanti.

Il dd Zan aveva la pretesa di non tener conto, nella determinazione del genere, del sesso che madre natura aveva riservato ad una persona. Il ddl Casellati, a stare a quanto emerge dalle bozze circolanti, pretende di cambiare la natura di un ordinamento statuale senza passare dal voto di una Assemblea costituente.

E’ pur vero che l’articolo 138 della Carta prevede una procedura particolare per le leggi di revisione costituzionale: una procedura abbastanza rigida e complessa, con l’obbligo di due letture distribuite nel tempo e con meccanismi di verifica da parte dell’elettorato tramite il ricorso al referendum.

E’ vero, altresì, che soltanto alla forma repubblicana (articolo 139) è preclusa ogni possibilità di modifica. Ma qui sta il punto di congiunzione con il ddl Zan: come si cambia genere con un’autocerficazione (e senza doversi sottoporre il proprio corpo ripudiato a dolorose mutilazioni), così si mette in discussione quella volontà dei Padri costituenti posta a fondamento della Repubblica.

E’ consentito a un Parlamento di ridefinire e la gerarchie e l’equilibrio dei poteri propri di una democrazia liberale, senza avvertire l’esigenza politica di avere un mandato in tal senso dal popolo?

Tutto ciò premesso e ammesso e non concesso che la riforma delle istituzioni sia un problema prioritario, il disegno di revisione contenuto nel ddl Casellati somiglia ad un gioco delle tre carte ognuna delle quali è contrassegnata da carica dello Stato, ma dal nome di chi attualmente la ricopre: ovvero Sergio Mattarella, Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

I primi due – a Mattarella vengono sottratte alcune firme di nomina del premier e dei ministri – si spartiscono i poteri che determinano la formazione del governo. E qui il ddl compie un gravissimo errore tecnico: non si mette in Costituzione – per di più rigida – i criteri e i meccanismi di una legge elettorale (compreso il premio di maggioranza) che ha sempre una relazione biunivoca con il sistema dei partiti, tanto da determinarne i comportamenti pratici, le composizioni e le scomposizioni.

La Seconda Repubblica ci ha insegnato che per quanto riguarda la stabilità, il bipolarismo non è stato in grado di fornire le garanzie del bipartitismo, tanto che il più delle volte i governi di centro destra o di centro sinistra sono stati azzoppati, in casa, ad opera delle loro maggioranze.

Le ultime elezioni hanno evidenziato che le leggi elettorali possono trasformarsi in una Camicia di Nesso per i partiti che vengono costretti a tessere alleanze minate nei programmi e negli obiettivi che vengono perseguiti da ciascuno dei soggetti coalizzati.

Vi è poi, nel ddl Casellati, un ammiccamento verso Salvini: se Giorgia fallisce, il Capo dello Stato riprova con te. Come se la caduta del premier il cui nome era stampigliato sulle schede non dipendesse da una crisi interna ad una maggioranza che governa con un premio elettorale che la porta al 55%.

Anche la storia della nomina e della revoca di ministri, in maggiore autonomia, da parte del premier sarà sempre una decisione condizionata dai rapporti tra i partiti della coalizione di maggioranza.

Infine la norma antiribaltone è di dubbia costituzionalità. Non solo i parlamentari rappresentano la nazione senza vincolo di mandato ma i partiti concorrono con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Le norme vanno considerate anche nella loro eventuale patologia.

La norma antiribaltone potrebbe tenere in piedi una coalizione soltanto con la minaccia delle elezioni anticipate oppure potrebbe determinare un ricorso frequente allo scioglimento del Parlamento: alla faccia, in ambedue i casi, della bramata stabilità.

Al di là di norme stravaganti made by Casellati, l’unica revisione in linea con quanto accade in Europa in tutti i paesi in cui non è prevista una monarchia dinastica – senza mettere in discussione il primato del Parlamento e senza scomodare il presidenzialismo – sarebbe l’elezione diretta del Capo dello Stato.

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