Che cosa unisce Elon Musk e il quotidiano Repubblica?
Nulla, proprio nulla. Ma su un fatto – l’arresto del fondatore di Telegram, Pavel Durov – esprimono più di un dubbio. Ecco perché.
I POST DI MUSK A DIFESA DI DUROV
“E’ il 2023 e in Europa si viene giustiziati per il like a un meme”, scrive Musk. X è sotto i riflettori dell’Unione Europea, e in particolare del commissario Thierry Breton, per le attività di contrasto all’odio online e alla disinformazione. Musk, anche nelle interazioni con gli utenti, fa spesso riferimento al ‘free speech’, la libertà di poter esprimere pensiero e opinioni. Ora, l’arresto di Durov accende ulteriormente il dibattito.
Il numero 1 di Telegram rischia “20 anni…” di carcere, osserva Musk, che definisce i tempi attuali “pericolosi” e si schiera tra i sostenitori dell’hashtag #FreePavel prima di ironizzare sulla posizione della Francia in relazione ai diritti: “Liberté. Liberté! Liberté?”. Quindi, risponde con un perentorio ”100%” a chi afferma che ”oggi tocca a Telegram, domani tocca a X”. Quindi, il riferimento al secondo emendamento, che negli Stati Uniti sancisce che “il diritto dei cittadini di possedere e portare armi non potrà essere violato”. E’ l’unico motivo, dice Musk, per cui il primo emendamento – che tutela la libertà di parola – sarà rispettato.
20 years … https://t.co/UknQRzqXw2
— Elon Musk (@elonmusk) August 24, 2024
POV: It’s 2030 in Europe and you’re being executed for liking a meme https://t.co/OkZ6YS3u2P
— Elon Musk (@elonmusk) August 24, 2024
L’ANALISI DEL QUOTIDIANO REPUBBLICA SU DUROV E TELEGRAM
“Il problema posto dall’arresto di Durov si riassume in questa domanda: quando un prodotto/servizio viene progettato con determinate caratteristiche, e queste caratteristiche consentono di commettere o impedire l’accertamento di un reato, chi le ha decise è corresponsabile degli illeciti penali che sono commessi tramite questi prodotti/servizi?”. E’ questa la domanda saliente posta in un’analisi del quotidiano Repubblica dopo l’arresto del fondatore di Telegram.
Conclusione dell’analisi del quotidiano diretto da Maurizio Molinari (nella foto): “Fuori da ogni ipocrisia, dunque, il dilemma è chiaro: se è consentito mettere in circolazione ciò che ostacola il controllo da parte dello Stato, allora bisogna accettare l’esistenza di servizi di anonimizzazione totale, di sistemi progettati per essere impenetrabili ai tentativi di accesso non autorizzato a prescindere da chi (delinquenti o forze di polizia) li voglia commettere, e il diritto di non cooperare con l’autorità giudiziaria. Oppure tutto questo è vietato, e dunque punito, e di conseguenza bisogna accettare cose come backdoor hardware e software, crittografia indebolita, VPN gestite in modo da consentire l’acquisizione del traffico in chiaro, abolizione di password e altri sistemi di autenticazione, obbligo di cooperazione generalizzato e via discorrendo. Nel primo caso, dunque, nessuno dovrebbe essere sanzionato, ma nel secondo tutti (tutti, nessuno escluso) dovrebbero essere puniti”.
Una posizione apprezzata dal senatore leghista, Claudio Borghi, componente del Copasir.