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Perché Letta schiaccia il Pd tutto a sinistra?

Proposte e difficoltà del Pd di Enrico Letta nella nota di Paola Sacchi

 

Se la proposta di Enrico Letta sulla tassa di successione ha provocato il dissenso di parti importanti del suo stesso partito, un effetto collante invece lo ha avuto per il centrodestra. Alle prese con la lotta interna per la premiership tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, le divisioni e i tentennamenti per le candidature e le amministrative (lunedì ci dovrebbe essere un vertice dei leader), il centrodestra si è ricompattato sul no a nuove tasse, suo storico tema.

La stessa Meloni, unica della coalizione rimasta all’opposizione, ha subito apprezzato le parole di Mario Draghi che in modo netto ha ricordato che non è il momento di chiedere soldi agli italiani ma di darli. Meloni ha anche sottolineato che pur stando all’opposizione non farà venir meno il suo “sostegno” a questa linea del premier. Immediato, come era scontato, il plauso a Draghi di Matteo Salvini e di Forza Italia con il coordinatore nazionale Antonio Tajani, i capogruppo alla Camera Roberto Occhiuto e al Senato Annamaria Bernini.

I giornali del mainstream hanno parlato di una “lunga e cordiale” telefonata il giorno dopo tra Draghi e Letta. Ma, come ricorda nei suoi “Graffi”, su Startmag.it, Francesco Damato, sarebbe più esatto immaginare “un cordiale gelo“. Anche se certo mainstream ha cercato con equilibrismo di descrivere un premier irritato equanimemente con Letta e con Salvini, è evidente che il dissenso, soprattutto per la tempistica, con il leader del Pd c’è stato su una grande questione di merito, di linea politica, che non è nell’agenda di questo esecutivo, mentre l’irritazione con il leader leghista ha riguardato una questione di metodo. E cioè l’opportunità di non avanzare candidature (in questo caso quella dello stesso Draghi) al Colle mentre è in carica il Capo dello Stato.

Ma Draghi, appunto, ne ha fatto una questione di metodo, di stile. Punto. Non ha detto nulla, come del resto era più che ovvio, su cosa intende fare nel suo futuro. Rimandando evidentemente alle parole pronunciate in una conferenza stampa di varie settimane fa quando disse che resterà alla guida del governo finché il parlamento lo vorrà.

Quindi, nonostante gli sforzi di equilibrismo del mainstream per bilanciare il dissenso con Letta e quello con Salvini, il punto vero è la proposta fiscale del leader del Pd, che non intende mollare. Nell’evidente tentativo di ridare un profilo a un partito in seria difficoltà di identità e di sondaggi. Ma in questo modo Letta schiaccia il Pd tutto a sinistra, con dissensi interni tra ex renziani di Base Riformista, con Iv di Matteo Renzi che si dice contraria e Carlo Calenda, candidato a Roma, che ne prende le distanze con un “boh” e poi giudica, per la tempistica, “astratte” le proposte di Letta.

È vero che Letta ha annunciato fin dal suo insediamento che il Pd non deve essere più il partito della Ztl. Ma ora in vista delle amministrative per il Campidoglio c’è da chiedersi anche come quella stessa Ztl reagirà alle novità lettiane. Se il centrodestra intanto nella storica battaglia per la diminuzione della tassazione ha trovato un modo per ricompattarsi (del resto una delle principali condizioni poste dalla Lega per entrare in maggioranza fu proprio quella di non introdurre nuove tasse), sul fronte del centrosinistra emergono al contrario divisioni.

Mentre i Cinque Stelle sembrano essersi defilati (almeno fino a ieri sera) dalla querelle. E per il Pd rischia di farsi ancora più forte l’incognita di Roma. Tutto questo nonostante le difficoltà di un centrodestra che deve ancora trovare la quadra.

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