La nomina di Leone XIV conferma per l’ennesima volta la sconfitta degli esperti, che nel passato recente avevano fatto uscire tantissimi nomi cardinalizi senza però prenderci: più o meno il copione che ha preceduto, a proposito di statunitensi, le elezioni di Trump I e Trump II. Gli stessi commentatori però, ora, di Robert Francis Prevost sanno, capiscono, ci dicono e spiegano tutto: è agostiniano, missionario, devoto alla Madonna, recita un’Ave Maria, parla in italiano e spagnolo ma non in inglese, per la prima volta ha letto un discorso scritto, è giovane ed energico ma anche emotivo, indossava la mozzetta e, chissà, forse portava persino le scarpe rosse. La superficialità e la genericità sono le vere cifre della nostra comunicazione odierna, altro che fake news!
Delle previsioni fallite, la più significativa riguarda un porporato che i bookmaker davano tra i probabilissimi, Pietro Parolin. A parte che i segretari di Stato entrano da sempre papi in Conclave per uscirne cardinali, il fallimento denota l’incapacità degli italiani di fare squadra e di farsi unitariamente promotori di una propria proposta, diciamo insomma che anche gli alti prelati condividono le nostre caratteristiche nazionali tipiche. E, comunque, la tanto profetizzata elezione di Parolin era davvero quasi impossibile, numeri alla mano siamo ormai bergoglianamente perifericissimi: appena 17 elettori italiani e solo 59 europei su 133. Non parliamo poi di Zuppi e Pizzaballa, che si portavano dietro rispettivamente il peso di una simpatia progressista mai nascosta e dei complicatissimi rapporti tra Vaticano e Israele.
Prendiamo però la celere nomina come una buona notizia, c’è stata una Chiesa universale più salda e unita di quella italiana ed europea: è un segno di speranza. E se, con il suo nuovo Pontefice, questa Chiesa punta sulla pace (il discorso di ieri non lascia dubbi), come aveva già fatto con Francesco, ma in modo più lucido e strategico, magari verrà qualche risultato. Anche piccolo, per carità, ma c’è talmente tanto da fare sulla “guerra mondiale a pezzi” che anche solo aggiustarne uno sarebbe un risultato enorme. Peraltro, se il nome scelto si ricollega alla dottrina sociale, come i suddetti esperti dicono, potrebbe venire anche qualche segnale in senso socio-economico. Anche di questo c’è davvero bisogno.
Siamo agli 80 anni dalla fine della guerra e dalla costruzione di una modernità divisa: inizialmente soprattutto tra Usa e Urss, oggi molto più complicatamente tra India, Cina, Brics, ex Pvs, con un’Europa e un’Occidente sempre più marginali. Il sogno o progetto del Make West Great Again potrebbe, se non ripartire dal soglio petrino, trovare in questo gagliardo 69enne uno stimolo nuovo. Statunitense, nel suo caso, non vuol dire certo vicino a Trump, anche se secondo qualcuno Donald avrebbe addirittura pagato per averlo papa. D’altronde Leone ha addirittura “attaccato” Vance, ma questo non vuol dire neppure che sia così lontano dalla Casa Bianca da non poterci dialogare. Si trova proprio alla giusta distanza.