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Landini

Perché le democrazie occidentali sono in debito con l’Ucraina

Dobbiamo essere riconoscenti alla resistenza del popolo ucraino per averci evitato (almeno fino ad ora) un’altra indecorosa calata di braghe come a Monaco nel 1938. L'opinione di Giuliano Cazzola

Ho molto apprezzato che Start Magazine abbia ripreso – con il titolo ‘’Qualche domanda ai pacifisti italiani’’ -gran parte del saggio che il mio amico Michele Magno aveva pubblicato, nei giorni precedenti, su Il Foglio. Io non sono uno storico, ma da tempo mi interesso dei fatti e dei processi politici avvenuti in quel ‘’lungo armistizio’’ tra le due grandi guerre mondiali del secolo scorso, perché sono convinto che vi siano – mutatis mutandosi – delle significative analogie tra le tragiche vicende che portarono inesorabilmente allo scoppio del secondo conflitto mondiale e quelle che stiamo vivendo in questo quarto del XXI secolo, iniziato nella convinzione della ‘’fine della storia’’ e arrivato sulla soglia di un terzo conflitto che non possa essere evitato neppure da quell’”equilibrio del terrore” dell’olocausto nucleare che, nella seconda metà del XX secolo aveva assicurato una pace in armi, ma duratura e ‘’governata’’ dalle due superpotenze.

Magno ricorda un evento cruciale di quella fase: il Patto di Monaco sottoscritto il 30 settembre del 1938 da Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia con il quale, in nome della pace, fu concesso a Hitler di annettersi i Sudeti di lingua tedesca, poi nel marzo dell’anno successivo completare l’occupazione di ciò che restava della Cecoslovacchia. I rappresentanti di quel governo, presenti a Monaco, non furono coinvolti nel negoziato; furono soltanto informati a cose fatte e apertamente invitati a non opporsi al loro destino per il bene della pace in Europa.

Michele cita anche l’accoglienza trionfale che Neville Chamberlain (il principale sostenitore della politica dell’appeasement anche nei confronti della Francia che era legata da un trattato con la Cecoslovacchia) ricevette al suo rientro a Londra, quando mostrava dalla scaletta dell’aereo e durante il rientro in auto a Londra il documento sottoscritto da Hitler in cui il Fuhrer aveva assunto il solenne impegno di adoperarsi per la pace in Europa, attraverso il metodo della concertazione con il governo di Sua Maestà britannica.

Nella sua ‘’Storia della seconda guerra mondiale’’ Winston Churchill ricostruisce puntualmente e con una ricca documentazione il Patto di Monaco a cui fu risolutamente contrario non solo per motivi etici (‘’per evitare la guerra avete scelto il disonore; avrete il disonore e la guerra’’), ma per oggettive valutazioni delle effettive convenienze delle parti in causa. Innanzi tutto, Churchill documenta che lo Stato maggiore era contrario all’operazione Cecoslovacchia, dopo che la Germania nella primavera di quell’anno aveva invaso e annesso l’Austria. Il generale Ludwig Beck, capo di S.M. dell’esercito predispose e presentò persino un memorandum critico sugli esiti di quella operazione.

Hitler neppure gli rispose. Così Beck rassegnò le dimissioni costringendo Hitler a nominare un sostituto nella persona di Hadler. Va da sé che dopo la firma del Patto i militari si sentirono umiliati e in difficoltà nei confronti del Fuhrer. Lo statista inglese ricorda altresì che durante il processo di Norimberga il maresciallo Keitel ammise che, nell’autunno del 1938, i tedeschi non erano ancora preparati e non avrebbero attaccato la Cecoslovacchia se Francia e Germania avessero minacciato di intervenire in sua difesa. Churchill si domanda chi abbia guadagnato maggior forza nell’anno susseguente a Monaco, se Hitler o gli Alleati. Basandosi su dati precisi lo statista arriva alla conclusione che l’anno di respiro ‘’guadagnato’’ a Monaco lasciò Gran Bretagna e Francia rispetto alla Germania, in condizioni assai peggiori di quanto non lo fossero state al momento della crisi.

E cita un dato inoppugnabile: le spese militari nell’anno 1938-39 dell’Inghilterra ammontarono a 340 milioni di sterline; quelle della Germania nazista superarono la cifra di 1,5 miliardi. Tutto ciò premesso io credo che vi siano molte attinenze tra la politica di Hitler di allora e quella di Putin oggi. Sconfitti nella Grande guerra gli Imperi centrali e l’Impero ottomano si sfasciarono in diversi Stati, i cui confini furono disegnati nei negoziati di Versailles del 1919: tra questi – tralasciando l’assetto geopolitico del Medio Oriente – anche la Cecoslovacchia, la Polonia e l’Ungheria. In questi nuovi Stati vi erano robuste minoranze di lingua tedesca, sobillate dalla Germania nazista che pretendeva di estendere la propria sovranità ovunque vi fossero delle comunità tedesche.

Ma in generale questi nuovi Stati erano un mosaico di etnie, avvelenate dal crescente nazionalismo. Della Cecoslovacchia si diceva allora che fosse uno Stato ceco-germano-polacco-magiaro-ruteno-rumeno-slovacco. Dopo Monaco si fecero avanti anche la Polonia e l’Ungheria ad erodere pezzi di territorio confinanti. Verso la fine del ‘’secolo breve’’, l’Impero sovietico perse la guerra fredda, ma crollò da solo sotto gli occhi meravigliati dell’Occidente. Gli ex Stati satelliti e le Repubbliche baltiche non hanno esitato ad accasarsi nella Nato, dopo aver aderito – magari con poca convinzione e in via propedeutica – alla Ue. Per questi Paesi si è trattato di scelte irrevocabili perché alle ruggini storiche si sono aggiunti i decenni trascorsi sotto il dominio dell’Urss, in regime di socialismo reale. L’aggressione dell’Ucraina è stata una prova del nuovo imperialismo del Cremlino, con tutte le conseguenze che conosciamo.

L’autocrate russo non si aspettava la reazione dell’Occidente che era stato a guardare durante l’occupazione della Crimea e della Georgia. Del resto l’anno precedente Putin aveva minacciato di invadere la Bielorussia se fosse stato deposto il suo ‘’compagno di merende’’ al potere in quel Paese. Io sono convinto che, se avesse avuto successo l’operazione militare speciale, riuscendo a deporre Zelenzky e a mettere al suo posto delle ‘’persone perbene’’, l’Occidente non si sarebbe agitato più di tanto. Qui sta la vera differenza con l’appeasement di Monaco. Ma questa differenza è stata determinata dalla capacità di resistenza e dall’eroismo del popolo ucraino che hanno obbligato le potenze e le istituzioni occidentali a non voltarsi dall’altra parte. Quella valorosa difesa ha provocato un’escalation dell’impegno di assistenza, anche militare, all’Ucraina. A questo punto, leggendo le considerazioni di Michele Magno, mi sono posto una domanda.

Ma che cosa sarebbe successo se la Cecoslovacchia, nel 1938, dopo Monaco, avesse mandato a fare in c..o Francia e Inghilterra e avesse reagito con le sue forze armate? La Cecoslovacchia non era un Paese inerme: in quei tragici frangenti disponeva di ben 21 divisioni regolari già mobilitate e di altre 15 di riserva, oltre alle fortificazioni sulle montagne. Il suo apparato industriale era di prim’ordine. La Germania avrebbe dovuto schierare ben 30 divisioni. Le potenze democratiche sarebbero rimaste a guardare oppure sarebbero intervenute nel conflitto in condizioni meno svantaggiate di quelle a loro disposizione l’anno dopo al momento dell’invasione nazista della Polonia? Ecco perché è grande il debito che la causa della democrazia, della libertà e della pace ha contratto con il popolo ucraino. Dobbiamo essergli riconoscenti, per averci evitato (almeno fino ad ora) un’altra indecorosa calata di braghe come a Monaco nel 1938.

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