La cosa che mi fa più rabbia, a dir poco, della vicenda che porta i nomi di Gennaro Sangiuliano e di Maria Rosaria Boccia, ed è esplosa alla fine di un’estate tanto calda quanto pazza, è che ancora una volta la politica italiana debba finire appesa ad una specie di cappio giudiziario.
Sì, lo so. La memoria, anche diretta per i meno giovani, vi riporta a una trentina d’anni fa, cioè alle “Mani pulite” del 1992 e seguenti. Quando dopo una banale udienza di separazione fra l’allora presidente del Pio Istituto Trivulzio di Milano, Mario Chiesa, e la moglie che protestava per il denaro che il coniuge le lesinava nonostante tutti i ricchissimi conti bancari all’estero, scattò nella Procura della Repubblica di Milano, e si diffuse ad altre in Italia, la vicenda di Tangentopoli. Costata la vita alla cosiddetta prima Repubblica.
Eppure vi sbagliate, e di grosso. Questa maledizione della cronaca politica che incrocia quella giudiziaria e ne viene inghiottita, sopra e ancor più dietro le quinte, risale ad ancor prima: a più di 70 anni fa, quanti ne sono appena trascorsi -celebrati da tutti, anche da quelli che ne furono i più accaniti avversari- dalla morte di Alcide De Gasperi.
Nel 1953, dopo il suo ultimo governo dimessosi il 28 luglio, lo statista democristiano già seguiva con tristezza e apprensione la lotta nella Dc alla sua vera, non formale o provvisoria successione, che andò meno di un mese dopo a Giuseppe Pella su iniziativa personale dell’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Al quale Attilio Piccioni, da molto tempo considerato l’esponente democristiano più affine a De Gasperi, aveva dovuto quasi misteriosamente rimettere l’incarico di presidente del Consiglio che aveva ricevuto.
Tre mesi prima di quella rinuncia, esattamente il 9 aprile 1953, era stata trovata morta sulla spiaggia romana di Tor Vajanica, Wilma Montesi. Ed erano scattate indagini su feste, frequentazioni e altro avessero potuto avere a che fare con la sua tragica fine. Si diffusero voci di Polizia e dintorni sulla partecipazione di un figlio di Piccioni, il musicista Piero, a quel giro. Figlio che venne arrestato il 21 settembre 1954 e assolto nel 1957.
Attilio Piccioni ne sarebbe rimasto ugualmente segnato, per quanto fosse tornato ad avere incarichi di governo: vice presidente del Consiglio e per un po’ anche ministro degli Esteri fra il 1960 e il 1963 con Amintore Fanfani e Giovanni Leone presidenti. Mi onoro di essere stato, giovanissimo cronista parlamentare, fra i suoi ultimi, abituali frequentatori nei corridoi e sui divani di Montecitorio, dove lui andava quasi ogni giorno e, masticando qualcuna delle caramelle acquistata alla buvette, si lasciava di rado strappare qualche monosillabo alle domande sulle vicende del suo partito e del governo di turno.
Erano, ripeto, non più di monosillabi. Dei quali tuttavia egli presto si pentiva e preoccupava al tempo stesso, sino a inseguire l’interlocutore appena allontanatosi per precisargli di non avergli detto “nulla”, ma proprio nulla. E l’interlocutore non aveva difficoltà a garantirgli la massima discrezione.
I tempi sono cambiati, gli uomini e le donne pure, persino le Repubbliche, essendovene una quarta almeno nel titolo di una trasmissione televisiva di un certo e meritato successo, nessuno dei cui ospiti ne ha mai contestato il nome. Ma questa maledizione, ripeto, della cronaca politica che incontra o produce la cronaca giudiziaria e ne viene travolta non è finita. E non so neppure, non riesco a immaginare se e quando finirà, per quanto meno di due anni fa sia nato un governo, per la prima volta a guida femminile, lodevolmente propostosi di restituire alla politica il primato assegnatole dalla Costituzione. E con un ministro della Giustizia come Carlo Nordio, che pur provenendo dalla magistratura, o forse proprio per questo, con l’esperienza fattasi con la pubblica accusa, è ben convinto del proposito e del programma datosi dal governo di cui fu parte.
Forza ministro, forza signora presidente del Consiglio, datevi da fare e non deludeteci, per quanti problemi o contrattempi possiate incontrare sul vostro percorso. E per quanti insulti possiate rimediare dai vostri avversari, largo o stretto, arido o limaccioso possa essere il loro campo. E complimenti, signora premier, per avere sciolto alla fine il nodo Sangiuliano prima che si aggrovigliasse ancora di più.