“Da oggi ognuno è più libero” fu il titolo di apertura del quotidiano Avanti! del 6 dicembre 1963, che celebrava la nascita del primo governo di centrosinistra in Italia, con la partecipazione del PSI e della Democrazia Cristiana. Questo evento segnò la fine di una lunga separazione politica (che negli anni ’20 aveva aperto le porte al fascismo) e alimentò grandi aspettative (spesso deluse)di riforme sociali ed economiche, come quelle riguardanti la scuola, la sanità e l’urbanistica. Quello stesso titolo avrebbe ben figurato anche in questi ultimi giorni per salutare l’approvazione definitiva della legge costituzionale sulla riforma dell’ordine giudiziario e la separazione tra le carriere requirenti e giudicanti.
Si avvicina l’ora, dunque, del giudizio di Dio del voto nel referendum confermativo senza la rete di sicurezza del quorum per la sua validità. Sia la maggioranza (che in questo caso include anche Azione) che l’opposizione hanno interesse a liquidare l’operazione il più presto possibile al fine di aggiustare le reciproche strategie per le prossime elezioni politiche nel caso in cui i reciproci obiettivi (simmetricamente opposti) non venissero raggiunti. In realtà se si volesse dare alla consultazione l’importanza che merita dovrebbe essere convocata il 2 giugno ovvero nell’80° anniversario del referendum istituzionale del 1946. Cadendo questa giornata di martedì e in presenza non solo delle consuete cerimonie celebrative e di un possibile ponte, il problema non si porrebbe. Ciò non toglie che il referendum sulla legge Nordio abbia lo stesso rilievo per il futuro del Paese di quello istituzionale del 1946 che segnò l’inizio della nuova Italia, rinata dalla Resistenza (Pietro Nenni diceva: ‘’O la Repubblica o il caos’’).
Allora l’elettorato fu chiamato a scegliere tra il permanere della Monarchia sabauda che aveva unificato l’Italia per consegnarla, tuttavia, decenni dopo all’avventura fascista o l’istituzione della Repubblica. Non era una scelta scontata per nessuno dei due schieramenti, per di più divideva il Paese, (ancora sotto occupazione degli Alleati) tra Nord e Sud. Il vento del Nord spazzò via la cricca raccolta intorno alla Monarchia nonostante l’ultima beffa di Casa Savoia (così la definì Palmiro Togliatti) dell’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del foglio Umberto II (il re di Maggio). Nella primavera prossima gli italiani dovranno condurre un’altra lotta di Liberazione dal potere anomalo delle magistrature requirenti che – come ha scritto Sabino Cassese – ‘’sono divenute oggi il quarto potere dello Stato’’, nei fatti sovraordinato agli altri in quanto depositarie della libertà e dell’onorabilità delle persone, senza dover rispondere a nessuno degli eventuali arbìtri.
La sfida non ha per oggetto solo aspetti relativi all’ordinamento giudiziario (che pure sussistono perché la separazione delle carriere è coerente con il rito accusatorio del processo penale), ma il ristabilimento dello Stato di diritto messo in crisi da un sistema di procure militanti con vocazioni para golpiste. Non si possono dare altri giudizi dopo che indagini riguardanti le possibili collusioni tra le istituzioni democratiche e le organizzazioni mafiose, sorrette da campagne mediatiche imponenti, sono state puntualmente smantellate dalla magistratura giudicante. Non si cerca di colpire tanto in alto e in profondo nel sistema democratico senza avere prove adeguate ma solo teoremi, se non ci sono delle finalità che nulla hanno a che fare con la giustizia. L’opposizione di sinistra ha pensato bene di doversi sdebitare dell’appoggio ricevuto dalle procure per prendere un potere che non gli sarebbe stato consegnato in una libera elezione e per assistere all’eliminazione per via giudiziaria dei suoi avversari politici. Chi ha sentito l’intervento di Roberto Scarpinato nel dibattito al Senato si sarà chiesto come sia stato possibile che un tal personaggio sia riuscito, non già a diventare parlamentare, ma ad avere occupato, prima, una importante posizione di potere a Palermo.
Sono poi singolari le critiche che le opposizioni (senza Azione) rivolgono alla riforma Nordio. Avendo flirtato in varie epoche anche recenti con la separazione, il Pd sa di non poter contare troppo su di una opposizione tecnico-giuridica. Basterebbe andare a rileggere la relazione Marco Boato a conclusione dei lavori della Commissione presieduta da Massimo D’Alema nel 1997 (sicuramente il lavoro più organico e ordinato di riforma costituzionale, che però non vide la luce per motivi politici) per individuare, nel nuovo testo dell’articolo 117 Cost. un evidente disegno di separazione. Il tentativo delle sinistre è orientato – come già fecero inutilmente sui referendum della Cgil – di stanare Giorgia Meloni e svolgere la consultazione in termini di pro o contro la presidente del Consiglio. Così si sono inventati che Meloni aspiri ai pieni poteri lungo un percorso che partendo dalla riforma e dal referendum la porterebbe nel 2029 al Quirinale. Infatti, i cartelli esibiti al Senato dai senatori dem e dintorni avevano proprio queste parole d’ordine.
Come vi sia un collegamento tra la legge Nordio e l’ascesa di Meloni al Quirinale rimane un mistero. Anzi, visto che sono in ballo le opposizioni potrebbero accusare Meloni di volersi proclamare regina, fondando persino una dinastia. A convalidare l’ipotesi ci penserebbe Sigfrido Ranucci, il quale potrebbe presentarsi a Report facendo ascoltare la registrazione carpita da un colloquio tra Giorgia e la piccola Ginevra, dove la madre in un momento di tenerezza dice alla figlia: ‘’tu sei la mia regina’’; a prova appunto del disegno istituzionale golpista rimasto impunito grazie alla mordacchia imposta alle procure. Magari un inviato di Fanpage, passando nei pressi di una sede della Gioventù nazionale si accorgerà che viene suonata la Marcia reale (con annessa Giovinezza). Un’ultima considerazione: Elly Schlein continua ad affermare in tv che il Governo vuole asservire i ‘’giudici’’.
Certamente le procure sarebbero felici di essere dei collegi giudicanti, visto che considerano (loro e gli amici velinari dei quotidiani) il processo come una perdita di tempo; per ora però sono soltanto dei magistrati requirenti.






