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Mattarella

Perché il Quirinale è fiducioso sulla conferma di Draghi

Che cosa filtra dal Quirinale su Draghi e dintorni   Il “giorno del giudizio”, come l’ha chiamato Il Mattino, o “della verità”, secondo Avvenire, si è aperto -prima ancora che il presidente del Consiglio si presentasse al Senato per la verifica chiesta dal presidente della Repubblica dopo le dimissioni respinte nella scorsa settimana- con la…

 

Il “giorno del giudizio”, come l’ha chiamato Il Mattino, o “della verità”, secondo Avvenire, si è aperto -prima ancora che il presidente del Consiglio si presentasse al Senato per la verifica chiesta dal presidente della Repubblica dopo le dimissioni respinte nella scorsa settimana- con la pubblicazione di un beffardo santino di Draghi sul giornale che più riflette o addirittura forma gli umori di Giuseppe Conte. Il quale è poi all’origine di questa crisi per il tentativo di scaricare sul governo, da lui del resto mai amato per il semplice fatto di averlo allontanato da Palazzo Chigi, le tensioni interne al MoVimento 5 Stelle. Dove peraltro la clamorosa e consistente scissione di Luigi Di Maio non è per niente finita.

Il beffardo santino lo ha pubblicato naturalmente Il Fatto Quotidiano, che propone ai lettori un Draghi con aureola non in ascensione al cielo ma in discesa verso la terra, spinto, oltre che dal Padre, dai “padroni” d’Italia e del mondo terrorizzati dall’idea di non saperlo più alla guida del governo: industriali, sindaci tornati alla funzione di “cacicchi” loro attribuita a suo tempo da Massimo D’Alema, banchieri, fabbricanti d’armi, Casa Bianca, Commissione Europea eccetera eccetera. Tutti desiderosi di un ritorno di Draghi, e non solo per gestire la transizione di una eventuale campagna elettorale anticipata, o accorciata, visto che sempre campagna elettorale sarebbe, anche se le Camere dovessero sopravvivere pure a questa crisi e arrivare all’epilogo ordinario dell’anno prossimo.

In un sussulto di ironia, anzi di sarcasmo, il direttore del Fatto Quotidiano si è abbandonato alla “cattiveria” di giornata scrivendo che “praticamente, a non volere Draghi premier, sono rimasti solo Conte e Draghi stesso”. E c’è paradossalmente del vero anche in questo, con le “tasche piene” confessate dal presidente del Consiglio prima di dimettersi, e ulteriormente riempite ieri dalle ultime manovre, manovrette, minacce, proteste e suppliche, da sinistra e da destra, innescate da un incontro chiesto a Draghi e ottenuto dal segretario del Pd Enrico Letta. Che fra tutti è stato il più sofferente all’idea di perdere una interlocuzione, diciamo così, con Conte pur non più “punto di riferimento dei progressisti”, come lo aveva imprudentemente promosso Nicola Zingaretti quando era al Nazareno. E come lo stesso Zingaretti ha detto recentemente di non considerarlo più.

Oltre a ricevere Enrico Letta e, di conseguenza, per le proteste dirette e telefoniche di Silvio Berlusconi, da una delegazione del centrodestra “di governo”, Draghi ha sentito l’opportunità di consultarsi con Mattarella prima di affrontare il passaggio della verifica.

A leggere il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, sempre consigliabile in queste circostanze perché di casa più di ogni altro sul colle più alto di Roma, il capo dello Stato ha trovato Draghi “un po’ meno irremovibile e rigido nei suoi propositi di una settimana fa, quando voleva mollare tutto subito, senza neppure passare per il Parlamento”. “Stavolta almeno -ha scritto Breda- ha elencato i pro e i contro di una propria permanenza a Palazzo Chigi”, anche senza -si deve presumere- la fiducia di quella che potrebbe risultare alla fine la consistenza striminzita di un non più imprenscindibile MoVimento 5 Stelle, o del “partito di Conte”, come lo declassa lo scissionista Di Maio ogni volta che ne parla.

“Già un passo avanti, insomma”, ha commentato Breda. Il quale tuttavia ha avvertito a conclusione della sua scrupolosa corrispondenza che, prevedendo o temendo il peggio, non importa per colpa di chi, al Quirinale “è già pronto il decreto di scioglimento, con la data del voto: il 2 ottobre”. Ma la data delle elezioni, in verità, spetterebbe fissarla al governo, non al presidente della Repubblica. Evidentemente Mattarella e Draghi si sono spinti già in avanti valutando insieme la situazione.

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