skip to Main Content

Uranio

Perché il nuovo presidente del Niger già traballa

Mohamed Bazoum ha assunto il 2 aprile la carica di presidente del Niger, dopo la vittoria delle elezioni avvenuta il 21 febbraio, ma ha già dovuto reprimere un colpo di Stato

 

Dopo la vittoria alle elezioni del 21 febbraio, Mohamed Bazoum ha assunto il 2 aprile la carica di presidente del Niger, con un giuramento e un discorso di investitura. Due giorni prima, intorno alle 3 della notte tra il 30 e il 31 marzo, si sparava nei pressi al palazzo presidenziale, in un tentativo di colpo di stato che è stato represso nel volgere di un’ora.

La situazione era assai tesa da settimane. Tre giorni di lutto nazionale, dal 17 al 20 marzo, sono stati indetti a seguito dell’uccisione di 66 civili da parte di forze jihadiste, vicino al confine con il Mali, il 15 marzo. Tuttavia, appena concluso il lutto, il seguente 21 marzo, nella stessa zona, sono state uccise altre 137 persone, portando così il totale a 203 morti in meno di una settimana.

Nel suo discorso del 2 aprile, il presidente Bazoum ha sottolineato due priorità per il Niger: crescita economica e sicurezza. Gli attacchi jihadisti non riguardano solo la zona vicino al Mali e al Burkina Faso (in cui sono attive l’operazione francese Barkane e la Task force Takuba, a cui partecipa l’Italia insieme alla Svezia e ad altri paesi europei), ma anche il sud est, con le forze di Boko Haram che interessano peraltro anche la Nigeria, il Ciad e il Cameron.

Le questioni di sicurezza diventano difficili da gestire in un Paese tra i più poveri del mondo, con una forte crescita demografica, del 3,3% e con una media di oltre 7 figli per donna, un’economia quasi per metà agricola e di sussistenza, e un territorio complicato, anche nella distribuzione geografica e nelle dinamiche di appartenenza etnica della popolazione. Per l’intervento francese di stabilizzazione militare Barkhane il costo non è solo finanziario – circa un miliardo di euro all’anno per 5100 militari – ma anche politico.

Per esempio, malgrado già il 12 gennaio la ministra francese della difesa, Florence Parly, in audizione all’Assemblea nazionale, abbia vigorosamente smentito presunti errori e piuttosto confermato il successo di un attacco aereo contro una cinquantina di militanti jihadisti, un’inchiesta della missione delle Nazioni Unite in Mali, Minusma, resa nota il 30 marzo, ha riferito che il 3 gennaio scorso a Bounti, nel centro del Paese, sarebbero stati uccisi da quello stesso intervento aereo della forza Barkhane 19 civili che partecipavano alla celebrazione di matrimonio in cui erano anche giunti, armati e su motociclette, alcuni militanti jihadisti, di cui tre sono stati ugualmente colpiti a morte.

I risultati delle elezioni del 21 febbraio hanno dato luogo a scontri, saccheggi e arresti, come ha raccontato StartMag – anche di Hama Amadou, esponente delle opposizioni. Ancora in questi giorni il principale avversario elettorale, Mahamane Ousmane, non ne riconosce il risultato. Il loro senso politico si legge nella netta continuità tra il presidente uscente Mahamadou Issoufou e quello entrante Mohamed Bazoum, che ha occupato nei governi precedenti posizioni di primo piano, da ministro degli interni al ministro degli esteri.

Tuttavia, nel passaggio di consegne del 2 aprile si cerca di riconoscere almeno un fatto positivo, perché è il primo pacifico – dopo vari colpi di stato di cui l’ultimo risale al 2010 – e perché conferma il rispetto della regola dei due mandati da parte del presidente uscente, Issoufou, a differenza di altri Paesi africani in cui si è aggirata a favore di un terzo mandato, come in Guinea o la Costa d’Avorio.

Back To Top