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G7

Perché il G7 in Canada sarà povero di decisioni politiche forti

L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta, già presidente di Sace, sul G7 in Canada L’8 e il 9 giugno in Canada, nella ridente località di Charlevoix (nella regione francofona del Quebec), i leader del G7 si incontreranno per il loro summit annuale. Sarà anche la prima occasione per vedere all’opera su una ribalta internazionale il nuovo premier…

L’8 e il 9 giugno in Canada, nella ridente località di Charlevoix (nella regione francofona del Quebec), i leader del G7 si incontreranno per il loro summit annuale. Sarà anche la prima occasione per vedere all’opera su una ribalta internazionale il nuovo premier italiano, Giuseppe Conte, cui spetterà il compito di proporre le politiche del governo appena entrato in carica.

L’Italia di Conte rimarrà nel solco delle linee di politica estera tracciate negli anni passati, conferma dell’atlantismo e dei valori economici liberali tipici del mondo globalizzato di oggi, oppure darà segni di voler virare verso un atteggiamento di maggiore chiusura e protezionismo, in linea con gli accenti sovranisti che hanno caratterizzato la campagna elettorale di Lega e Movimento 5 Stelle?

È ancora presto per dirlo e dunque sembra prudente rimandare il giudizio per il momento; tuttavia, se nel Contratto di governo alla voce Politica estera si riafferma l’alleanza con gli Stati Uniti e il nostro ruolo nella Nato come assi fondamentali delle nostre relazioni internazionali, è altrettanto vero che il mondo al di fuori dell’Italia è decisamente cambiato rispetto a non più di due anni fa.

Nel frattempo, infatti, il G7 è stato colpito dalla Brexit, che rischia di ridimensionare notevolmente il ruolo del Regno Unito negli anni a venire, e dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, che ha trasformato le modalità con cui gli Stati Uniti conducono la propria diplomazia. Quest’ultima è condotta non più secondo dinamiche multilaterali, ma attraverso un approccio bilaterale che consente di volta in volta di sostenere nei confronti di una sola controparte gli specifici interessi politici ed economici di Washington.

Dovrebbe dunque preoccupare la frattura che si sta allargando sempre più fra le due sponde dell’Atlantico e che, in seguito all’approvazione dei nuovi dazi contro l’acciaio e l’alluminio europei da parte degli Stati Uniti, rischia di scatenare una guerra commerciale con l’Unione Europea.

Quest’ultima potrebbe fare ricorso alla saggezza e alla prudenza ed evitare di intraprendere contromisure, forte di un surplus commerciale molto elevato che consente ancora un discreto margine di manovra e di profitto per le aziende europee esportatrici (basti pensare che solo l’Italia vanta un avanzo tra export e import di quasi 20 miliardi di euro nei confronti di Washington). Allo stesso tempo, un’Europa troppo debole e arrendevole rischierebbe di vedere indebolita ulteriormente la propria influenza geopolitica.

Non è solo il commercio internazionale a dividere Unione Europea e Stati Uniti, ma anche le tematiche ambientali. Fu proprio durante il G7 di Taormina dello scorso anno che Trump assestò un colpo durissimo all’approccio multilaterale alle grandi questioni globali, lasciando capire la sua intenzione di uscire dall’Accordo di Parigi contro il cambiamento climatico. Per non parlare delle crisi di politica estera: attualmente, i principali tavoli aperti sono il Medio Oriente e la Corea del Nord.

In entrambi i casi, però, gli Stati Uniti dimostrano di voler fare da soli: da una parte appoggiandosi su Israele e Arabia Saudita per portare avanti la propria sfida all’Iran; dall’altra affrontando in maniera spregiudicata la delicatissima relazione con Kim Jong-un, con il quale è previsto uno storico vertice il prossimo 12 giugno. A questi potremmo anche aggiungere la Russia, ex membro del G8 e con la quale anche in questo caso Trump sembra voler agire in solitudine se, a quanto pare, l’ipotesi di un summit bilaterale con Putin stia prendendo corpo.

Un simile contesto lascia dunque intuire che sarà un G7 poco incisivo e povero di decisioni politiche «forti». Il premier canadese Trudeau cerca di portare a casa alcuni risultati su tematiche sociali quali l’avanzamento dell’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, ma francamente sembra troppo poco in una fase delle relazioni internazionali caratterizzata da cambiamenti che potrebbero avere delle conseguenze epocali.

Il valore aggiunto della cosiddetta likemindedness, ovvero della comunanza di vedute tra i leader dei Paesi del G7, rischia di venire meno: per questo è quanto mai necessario un rafforzamento dei rapporti tra le potenze europee, Francia, Germania e Italia in primo luogo, al fine di controbilanciare una dinamica che rischia di produrre effetti negativi sull’andamento complessivo delle relazioni internazionali.

(Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza)

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