Il 25 aprile è forse la ricorrenza civile più bella: essa richiama alla nostra memoria la parola libertà e il dovere che abbiamo di custodirla.
Anni drammatici furono quelli che precedettero il 25 aprile del 1945. Le dittature nate dalla crisi conseguita dalla Grande Guerra portarono allo scoppio del secondo conflitto mondiale a soli vent’anni di distanza dal primo. Nel mezzo, il proliferare di ideologie violente e totalitarie fondate sulla disumanizzazione dell’uomo e della sua vocazione alla libertà.
Il 25 aprile 1945 Milano insorse contro gli occupanti tedeschi e gli italiani che aderirono alla Repubblica di Salò. Giovani che combattevano altri giovani: ecco il risultato di un’educazione asservita al potere dello Stato. Milano liberata, la fuga di Mussolini, il suo arresto, l’uccisione, lo scempio di piazzale Loreto. Il Cardinale Schuster, unica autorità rimasta sotto le bombe, esattamente come Pio XII rimasto in Vaticano circondato dai tedeschi, che intima alle autorità partigiane: “Se non togliete quei corpi, andrò io personalmente”.
Ecco il valore del 25 aprile: la libertà conquistata e l’avvio di un cammino difficile, doloroso, a tratti drammatico, verso la democrazia edificata sui valori della Costituzione.
Il 25 aprile è quindi il giorno in cui gli italiani devono rispolverare i libri di storia e ripercorrere il cammino che ha portato a quel giorno. Rimango terribilmente delusa quando i giovani non conoscono il motivo della giornata di festa nazionale. No, non è possibile non sapere, non è ammissibile un simile abisso di ignoranza.
Allo stesso modo rimango delusa quando anche il 25 aprile diviene pretesto di contesa politica, quasi che il 25 aprile fosse la festa di un solo partito e non dell’altro, di una coalizione e non dell’altra. Perché mai? Un simile modo di intendere e di interpretare la realtà dei fatti è ingannevole e intellettualmente disonesto perché nega il principio stesso di libertà.
Come la sinistra ha preso le distanze dalle interpretazioni totalitarie del comunismo, allo stesso modo la destra ha preso le distanze dal Fascismo. Una interpretazione divisa e polemica del 25 aprile lede il nostro essere italiani, di destra, di centro o di sinistra. Ognuno con le proprie idee ma tutti fieri di appartenere ad un unico popolo, questo deve essere lo spirito: chi fa del 25 aprile una festa di partito manda un segnale altamente diseducativo a tutta la società ma, soprattutto, ai giovani.
Chi appartiene alla mia generazione è cresciuto con almeno un nonno che aveva combattuto in Russia o aveva vissuto i terribili momenti della lotta di liberazione: dunque quei momenti sono divenuti patrimonio intimo e familiare. I giovani di oggi, pur non avendo un familiare che ha vissuto in prima persona quei momenti, devono, attraverso il racconto dei loro genitori, degli insegnanti, dei mass media, sentire quel passato altrettanto intimo e familiare.
Le forze politiche siano, quindi, all’altezza del loro compito, deponendo, in vista di questa ricorrenza, ogni intento polemico, per mandare un messaggio unanime di pace, di unità, di coesione in nome di un passato comune nel quale identificarsi e al quale richiamarsi.
In tal senso e a esempio di quanto intendo, voglio citare due passi del discorso di insediamento del Presidente Sandro Pertini, socialista da sempre, vero pater patriae: “Certo noi abbiamo sempre considerato la libertà un bene prezioso, inalienabile. Tutta la nostra giovinezza abbiamo gettato nella lotta, senza badare a rinunce per riconquistare la libertà perduta. Ma se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può mai essere barattata”. E ancora: “Non posso, in ultimo, non ricordare i patrioti coi quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza. Non posso non ricordare che la mia coscienza di uomo libero si è formata alla scuola del movimento operaio di Savona e che si è rinvigorita guardando sempre ai luminosi esempi di Giacomo Matteotti, di Giovanni Amendola e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di don Minzoni e di Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di carcere. Ricordo questo con orgoglio, non per ridestare antichi risentimenti, perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce, né in morale, né in politica”.
Queste sono le parole pronunciate da un uomo che veramente aveva lottato per la nostra libertà, che veramente aveva subito percosse e violenze ma proprio per le violenze subite sapeva che la libertà non può essere oggetto di contesa. La libertà accomuna e non divide, rende partecipi e non esclude, affratella e non presume.
Invito allora tutti gli italiani, specialmente le forze della politica e chi ricopre incarichi di interesse pubblico, a dare il proprio esempio nell’approfondire, nello studiare, nel dare un messaggio di coesione e di vera fratellanza fondata su un senso di comune appartenenza.
Questo è l’unico modo per onorare il ricordo di quei soldati che non tornarono dalla Russia, dall’Africa, dall’Albania, dalla Grecia o di quei giovani che, cattolici, comunisti, socialisti, in una parola italiani, si unirono alle brigate partigiane e combatterono sull’Appennino, nelle Langhe o nelle campagne attorno alle grandi città, forti della consapevolezza che doveva necessariamente esistere un’alternativa a quegli ideali meschini con i quali si era tentato di educarli. Non a caso quei giovani educati ai valori cari al regime furono quelli che combatterono per abbatterlo.
Con questi sentimenti viviamo la giornata del 25 aprile, una giornata di festa, di famiglia, di uscite fuori porta, ma senza dimenticare di recarci a fare visita alle migliaia di monumenti ai caduti che si trovano su tutto il territorio nazionale, dalla metropoli al piccolo paese di provincia. Questi monumenti sono l’ordito con il quale è intessuto il ricamo della nostra Costituzione.