I numeri elettorali democristiani li ha da qualche anno la leader della destra che la Dc praticamente neppure l’ha conosciuta, o comunque frequentata, avendo Giorgia Meloni cominciato a fare politica quando lo scudo crociato era già stato dismesso dall’ultimo segretario Mino Martinazzoli. Ma i volti della Dc, quelli no, sono rimasti altrove. Prevalentemente nel Pd, fra inquilini e ospiti del Nazareno, i più illustri e blasonati dei quali sono, in ordine rigorosamente alfabetico, Pier Ferdinando Casini e Dario Franceschini.
Mi ha fatto una certa impressione vedere in una foto quel faccione sempre da ragazzo di Renzo Lusetti, pur con i capelli brizzolati, fra gli stessi Casini e Franceschini sulla costiera amalfitana per ricordare festosamente il congresso sostanzialmente ricostitutivo, 40 anni fa, del movimento giovanile della Dc. Che un insofferente Amintore Fanfani aveva commissariato perché guidato e composto non da ragazzi, come lui reclamava anche a norma di statuto, ma da “giovani anzianotti”, come li chiamava canzonandoli. E come continuarono o ripresero a comporlo e guidarlo sotto la regia e la protezione del segretario nazionale del partito Ciriaco De Mita.
Proprio Lusetti in quel congresso a Maiori del 1984 fu eletto a capo del movimento non a 18 anni, quando già dal 1975 si era considerati maggiorenni, ma a 25. E altrettanti ne aveva Franceschini. Tre in più ne aveva invece Casini. Dodici in più addirittura Clemente Mastella, che non più da giovane ma da adulto e già navigato uomo di fiducia di De Mita tirò praticamente le fila di quel congresso facendolo vincere a Lusetti piuttosto che a Mauro Fabris, un doroteo arrivato in costa amalfitana con più voti dell’altro e convinto di doversela vedere solo col concorrente Luca Danese, 26 anni. Cui non fu di alcun aiuto la parentela con Giulio Andreotti: nipote da parte della moglie.
Lusetti oggi non ritiene realistico il ritorno alla Dc sostenuto invece dall’ex governatore siciliano Totò Cuffaro. Ma sente anche lui la mancanza di un “partito cattolico”, specie con la fisionomia che sta dando al Pd la segretaria Elly Schlein, pur arrivata al vertice del Nazareno con l’aiuto di Franceschini. “Il Pd oggi – ha detto Lusetti al Mattino dopo l’amarcord di Maiori – è squilibrato a sinistra, propone temi e argomenti che nella loro radicalità non appaiono riconducibili a un centrosinistra riformista. Dall’altra parte, il centrodestra – ha aggiunto – è quello che è e si sente la mancanza della politica di centro”.
Non so se Pino Pisicchio, 69 anni, un democristiano di scuola morotea sopravvissuto psicologicamente ad un passaggio per l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, abbia partecipato al raduno di Maiori. E non so neppure se avesse partecipato, quasi trentenne, a quel congresso rifondativo del movimento giovanile democristiano. Ma è significativo che proprio in coincidenza coll’amarcord di Lusetti, Franceschini, Casini e altri, fra i quali l’ex capo della Polizia Franco Gabrielli, il mio amico Pino abbia sentito il bisogno di scrivere sulla Gazzetta del Mezzogiorno con una certa delusione o preoccupazione del Pd se non del Papa, almeno della “profeta straniera” che sarebbe Elly Schlein.
Questo Pd secondo Pisicchio – e chissà se, sotto sotto, anche secondo Franceschini dopo le aperture e la fiducia iniziali – che persegue la strada di un’alleanza organica col Movimento 5 Stelle di Conte, rischia di non riuscire a proporsi come alternativa plausibile al centro-destra per tre ragioni fondamentali”. La prima è la consegna ormai avvenuta del “perno” dell’operazione al “partener più instabile di tutti” che è Conte, “un avvocato che fu tolto ai tribunali e fatto premier da un giorno all’altro e che ha visto come un insopportabile insulto la sua defenestrazione” da Palazzo Chigi. La seconda ragione è l’insufficienza elettorale e parlamentare di un’alleanza fra pd e grillini. “La terza – e collaterale, direi, nell’analisi di Pisicchio – è che manca ciò che ha consentito al Pd di andare al governo in altri momenti: le cinquanta sfumature di centro”. Manca insomma “quella terra di mezzo che fa vincere”. Ed ha fatto vincere anche il centrodestra, “ancorché ad egemonia meloniana”.
La presenza di Franceschini a Maiori significa – ripeto – che tutto questo frulli ormai anche nella sua testa? Ecco la domanda che potrebbe essersi posta con qualche ansia, leggendo le cronache dalla costiera amalfitana, anche la segretaria del Pd.