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Perché Europa e Usa vedono la guerra Russia-Ucraina in maniera diversa

Davanti alle brutalità dei massacri in Ucraina, il ragionamento di molti europei comincia con "non sono filo-Putin ma". Il punto di Gianmarco Volpe, global desk chief di Agenzia Nova.

 

Il lunare dibattito sulla guerra in Ucraina mi ha riportato alla mente Carnage, consigliata commedia di Roman Polanski di una decina d’anni fa. Tutta la storia si svolge in un appartamento di New York, ma in realtà si tratta di un film intimamente europeo: è girato a Parigi (poiché tecnicamente Polanski è sempre ricercato dalle autorità degli Stati Uniti) ed è tratto dalla piece Il Dio del Massacro della francese Yasmina Reza. Due coppie altoborghesi di mezza età si riuniscono per discutere di un grave litigio avuto qualche ora prima al parco del Ponte di Brooklyn dai rispettivi figli, compagni di classe, uno dei quali ha tirato una bastonata in faccia all’altro rompendogli i denti. I genitori tentano d’intavolare una discussione civile e cordiale, di risolvere rapidamente la faccenda e dedicarsi alle rispettive quotidianità. Tuttavia, complice l’alcol, i quattro finiscono per avvitarsi in un alterco che si fa sempre più cinico e scorretto, per scambiarsi di ruolo, per portare alla luce la dimensione più becera, più triviale, più primitiva delle rispettive umanità. La violenza originaria, quella dei due ragazzini al parco, è inizialmente censurata ma col tempo s’impossessa della comunicazione degli adulti. La borghesia, ci dicono Reza e Polanski, non rinnega ma reprime la violenza, pronta a eruttare e strabordare quandunque trovi sbocco tra le maglie del decoro sociale urbano.

Le borghesie europee balbettano oggi davanti alle immagini di un atto di violenza il più atavico, il più primitivo, il più banale che si possa pensare: uno Stato che usa la forza per prendersi la terra di uno più debole. Aerei che bombardano, artiglierie che cannoneggiano, soldati che sparano e uccidono e stuprano e saccheggiano. Il Dio del Massacro cala l’ascia nel cuore dell’Europa. E non c’è nulla, davvero nulla che si possa fare da qui per fermarlo hic et nunc. La Russia prepara l’offensiva finale per il Donbas: se le riuscirà d’occuparlo dichiarerà unilateralmente un cessate il fuoco che l’Ucraina non accetterà, se invece non le riuscirà la guerra si trascinerà stancamente e dolorosamente fino a quando le forze in campo saranno in grado di sostenerne i costi. Il conflitto s’inasprirà, s’imbastardirà, provocherà più morte e distruzione. Non esiste, allo stato attuale, spazio alcuno per un negoziato, come ha amaramente constatato di ritorno da Mosca il cancelliere austriaco Karl Nehammer, uno che certo non può essere accusato di sudditanza verso la Nato (per la semplice ragione che l’Austria non ne fa parte).

La prevaricazione e il sopruso sono azioni tipicamente umane, che la strutturazione delle nostre società ha consentito nel tempo di contenere, di limitare, di censurare, di celare alla vista. Quando le incontriamo, anche in manifestazioni così mastodontiche come un’invasione armata, tendiamo a disconoscerle. Perché ne abbiamo paura, e forse perché vi ritroviamo pulsioni intime e ancestrali che pure continuano a scorrere nelle nostre quotidianità, nelle nostre piccole cattiverie, e com’è misera la vita negli abusi di potere. E così finiamo per razionalizzare, scambiare i ruoli, incolparci, simpatizzare persino con l’aggressore, senza accorgerci che questi parla una lingua diversa dalla nostra.

Putin, da consumato uomo di potere quale effettivamente è, comunica con noi occidentali usando un registro a noi familiare. La minaccia della Nato, la sicurezza dei russofoni, gli accordi di Minsk e altre scartoffie, i battaglioni nazisti. E noialtri ad accapigliarci sulle sue ragioni, sui suoi perché. Nei fatti, egli è però interprete di una pulsione che vibra forte nella Russia che lo ha sostenuto e che sempre lo sosterrà, una volontà di potenza che solo i popoli umiliati dalla storia possono liberare e che solo le società meno sofisticate sanno riconoscere.

Negli Stati Uniti, dove sulla legge del più forte s’è ricalcato un intero sistema economico, il dibattito sull’invasione dell’Ucraina è assai diverso dal nostro: il “pensiero alternativo” a Washington non riconosce le ragioni della Russia, ma auspica un ruolo più assertivo degli Usa (è la linea tradizionale dei falchi repubblicani) oppure un cinico disinteresse per le sorti d’un paese che la maggior parte degli americani non saprebbe indicare su un mappamondo (è la posizione dell’universo trumpiano).

Noi europei, che pure l’orrore dovemmo averlo impresso nella memoria, siamo impreparati di fronte al Dio del Massacro. E mentre la brutalità di Bucha e Kramatorsk si consuma, riempiamo i palinsesti televisivi di le dirò di più, non sono filo-Putin ma, voglio vedere le immagini satellitari, mi lasci finire il ragionamento, pensieri unici e mille pensieri alternativi. È la democrazia, dicono. Ma l’odore è nauseabondo, e ricorda quello dei morti.

(Estratto dal profilo Facebook di Gianmarco Volpe)

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