Il piccolo assassinato dal padre non è stato tutelato da uno strumento internazionale giuridicamente vincolante – cd Convenzione di Istanbul- che ha creato un quadro normativo completo a tutela delle donne e nell’ambito della violenza domestica contro qualsiasi forma di violenza su bambini ed anziani.
L’Italia ha sottoscritta la Convenzione nel settembre 2012 e il Parlamento con la legge n. 77/2013 per tutelare le vittime inserisce alcune misure relative all’allontanamento – anche d’urgenza – dalla casa familiare e all’arresto obbligatorio in flagranza dell’autore delle violenze. In particolare, interviene sul codice penale, introducendo un’aggravante comune (art. 61, n. 11-quinquies) per i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché per i maltrattamenti in famiglia, da applicare se i fatti sono commessi in danno o in presenza di minori.
Ricordiamo poi anche la Riforma che riguarda il diritto di famiglia e dei minori, che prevede che verrà soppresso il Tribunale per i Minorenni e istituito quello per le persone, per i minorenni e per le famiglie, composto da tribunali circondariali e un tribunale distrettuale; verrà istituito un rito unitario per la materia della famiglia.
Nella Riforma sono previsti meccanismi di raccordo tra giustizia civile e penale, mondi che, spesso, non comunicano tra loro causando pregiudizi alle donne e ai minori nei procedimenti civili di separazione. Si ricorda, infatti, che l’art. 31 della Convenzione di Istanbul prevede espressamente che le autorità giurisdizionali, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, prendano in considerazione gli episodi di violenza e che vengano adottate misure necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima di violenza o dei bambini.
In data 9 dicembre 2021 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 292 il Decreto Legge 26 novembre 2021 n. 206 che prevede l’incarico al Governo – da espletarsi entro il 24 dicembre 2022 – di adottare i decreti legislativi necessari per implementare la riforma della giustizia.
Importanti sono le riforme anche nell’ambito del diritto di famiglia: la previsione di un rito unico per le famiglie; l’implementazione di una più efficace tutela per le donne e i minori che subiscono violenza, attraverso la previsione della necessaria nomina di un curatore speciale a tutela del soggetto minore di età; il rafforzamento della mediazione familiare e della negoziazione assistita; e appunto l’istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, attraverso la trasformazione dei Tribunali per i minorenni.
D’altra parte, il diritto di famiglia da tempo reclama una riforma ampia e organica, e molte le organizzazioni nazionali degli avvocati specializzati in tale materia che chiedevano l’unificazione in una sola autorità di riferimento delle competenze oggi sparse fra i diversi soggetti giurisdizionali implicati – tribunale ordinario, tribunale per i minorenni, giudice tutelare.
Moltissime peraltro sono le norme come la Legge n. 149/2001 e gli Artt. 330 e ss. Cod. civ. che prevedono un gesto atroce come quello di poter togliere il proprio figlio alla madre o le problematiche interpretative e applicative della Legge n. 54/2006 che stabilisce la espressa previsione del diritto dei figli minori alla bigenitorialità, individuato dall’art. 155, comma I, Cod. Civ. e l’Affido condiviso e collocamento del minore – Esercizio e attribuzione della potestà genitoriale.
A 16 anni dall’entrata in vigore della Legge si può sostenere che la norma legislativa in materia di diritto sostanziale e processuale della famiglia non possa più essere considerata tale. In assenza, peraltro, di consolidati indirizzi giurisprudenziali (soprattutto da parte della Corte di Cassazione, non ancora investita del compito di fornire la propria interpretazione su gran parte delle norme introdotte dal Legislatore) numerose decisioni dei giudici di merito hanno sin qui consentito un primo significativo approfondimento della materia, ma spesso con approdi non propriamente conformi e sbagli clamorosi.
Non sono bastati pertanto, il ripetersi di incontri di studio e di approfondimento, anche in tempi ravvicinati: anzi, di fondamentale importanza è non solo il raffronto tra gli orientamenti degli organi giudicanti e la diffusione della conoscenza delle soluzioni dagli stessi concretamente adottate, ma anche il confronto con gli altri operatori del diritto, allo scopo di offrire contenuti e certezze ad una materia inevitabilmente difficile ma certamente viva ed interessante che comunque ad oggi ha consentito soluzioni poi rivelatasi profondamente errate.
Il tutto, ovviamente, con la consapevolezza che la famiglia non è solo l’oggetto del dibattito, ma anche e soprattutto il valore che indirizza l’interpretazione e l’applicazione delle norme ma che, sovente gestita da magistrati e servizi sociali non professionalmente capaci, ha consentito degli abusi feroci.
Dunque al Ministro Cartabia, ad un Parlamento maggiormente consapevole dei delitti in essere, si sollecita una iniziativa di riordino urgentissimo della materia in quanto sono documentati i casi in cui la Corte di Legittimità ha, infatti, individuato come prioritaria, da parte del giudice, l’opzione dell’affido condiviso, dovendosi motivare la sua contrarietà all’interesse dei minori nel caso di una diversa scelta.
Purtroppo, però, in una moltitudine di casi concreti la bandiera dell’affidamento condiviso è stata agitata in modo palesemente strumentale e surrettizio, magari quale mezzo di contrasto della avversaria strategia difensiva o al solo fine di cogliere migliori risultati e condizioni sul versante dei rapporti economici.
È perfino ovvio sottolineare come un simile modus operandi si ponga in palese contrasto con le esigenze di tutela dei figli minori e, pertanto, con gli stessi principi recentemente stabiliti in tema di affido condiviso dalla Suprema Corte (Cass. 16593/08, cit.). La bigenitorialità è, infatti, innanzitutto l’oggetto di un diritto dei figli minori e in quanto tale non è, in realtà, mai stata negata neppure dalla normativa previgente: è sufficiente allo scopo rammentare quanto disposto dall’art. 6 comma I° della legge 898/1970, laddove è riaffermata la permanenza dei doveri genitoriali persino “nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori”.
La verità è che il modello di famiglia partecipativa che ipotizza la legge “romanticamente sbagliata” non può materializzarsi come per incanto soprattutto dopo la rottura dell’unità familiare. Pare che il Governo abbia inviato a Varese degli ispettori per approfondire le dinamiche del martirio del piccolo ma vero è che la madre aveva già chiesto aiuto alle forze dell’ordine e si era già vietato al padre di avvicinarsi alla famiglia ma un giudice (?) evidentemente sprovveduto e colpevolmente inesperto ne ha decretato la morte violenta il primo giorno di un anno che non verrà per il piccolo.