Con l’elezione di Trump si è consumata definitivamente la trasformazione del Partito Repubblicano, votato sempre più dai ceti svantaggiati dalla globalizzazione e che aspirano a una riscossa del sogno americano. È l’analisi di Carlo Pelanda, saggista e docente di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi.
In questa conversazione con Start Magazine, Pelanda entra anche nel merito dell’agenda economica del nuovo presidente e spiega perché il mutamento geopolitico innescato da questa elezione offre una grande opportunità al nostro Paese.
Donald Trump ormai lo votano tutti: operai, paperoni, ceti medi. È lui ad avere le ricette economiche migliori per l’America?
Bisogna fare una premessa: c’è stato un mutamento nella rappresentanza della democrazia americana, nel senso che il Partito Repubblicano rappresenta sempre più i ceti che o sono o temono di essere impoveriti e sono in ansia, mentre il Partito Democratico tende sempre più ad essere il partito delle classi superiori. E poiché siamo di fronte a tre decenni di lento impoverimento della società americana, la conseguenza è il largo consenso accordato a un’offerta politica tesa a ripristinare il sogno americano.
Trump manterrà le promesse che ha fatto, dai dazi alla riforma fiscale?
Una cosa è il linguaggio della campagna elettorale, che si basa sui sondaggi, e che spinge a modulare la stessa offerta politica sulla base della capacità di suscitare emozioni. Altra cosa invece sono le vere azioni di governo, che divergeranno da quelle prospettate in campagna elettorale. Donald Trump ne è perfettamente consapevole e infatti mi aspetto da lui e dal suo team una serie di mosse tecniche improntate al realismo. Del resto l’America non è un Paese che si può governare per slogan, e ci sono vincoli oggettivi da rispettare, tra cui abbassare il debito.
Mi sta forse dicendo ad esempio che sui dazi non se ne farà nulla?
Mi sorprende molto l’isteria europea sui dazi e i timori di una possibile guerra commerciale Usa-Europa. Pare non si sia capito che l’America, per essere grande come Trump vuole, ha bisogno di noi. Come peraltro molti hanno osservato, la minaccia dei dazi potrebbe essere pura tattica per propiziare uno scambio equo. Credo in questo senso che gli europei sceglieranno l’opzione più semplice, che è quella di comprare dagli Usa più armi, che potrebbe essere sufficiente per placare un leader che ha la fama di indomito negoziatore.
Però altri analisti sottolineano invece che il consenso popolare ricevuto, e l’assenza di un’opposizione, renderà Trump ancora più scatenato.
C’è del vero in questo, però io credo, basandomi anche su quello che ha fatto nel primo mandato, che Trump ascolterà le raccomandazioni dei tecnici. Non dimentichiamo che l’America dispone di una vasta burocrazia imperiale in grado di farla reggere agli scossoni, e che esercita un forte condizionamento sull’azione governativa. Penso in particolare a quella possente struttura che è il Ministero del Tesoro, ma anche alla Federal Reserve, che non è senza armi.
Ma quindi Trump cosa farà secondo lei?
Dobbiamo aspettarci un primo anno in cui potranno anche esserci toni accesi, ma non mosse azzardate. Sul protezionismo, ad esempio, mi aspetto una sostanziale continuità con quello cui è storicamente propensa l’America e che abbiamo visto caratterizzare anche l’amministrazione Biden. Molto diverso invece il discorso in politica estera.
In che senso?
Sarà esercitata anzitutto una enorme pressione sulla Cina. Quindi tanti dazi e tante bastonate ma di nuovo in vista di uno scambio. Quanto all’Europa, la forte pressione anche qui esercitata sarà funzionale ad un riequilibrio complessivo del dare e dell’avere. E qui si apre un ruolo importante per il nostro Paese.
Cosa ha in mente Trump per noi?
Con il cambiamento geopolitico innescato dall’elezione di Trump l’Italia si trova secondo me in una posizione privilegiata, anzitutto in quanto fondamentale pilastro nel Mediterraneo del sistema occidentale. Agli Usa l’Italia può poi offrire la sua proiezione sul continente africano. Roma è l’unica che può fornire garanzie su questi due fronti e naturalmente dentro l’Unione europea. A questo proposito, le attuali difficoltà della Germania presentano una straordinaria opportunità per l’Italia, che a differenza di Berlino può offrire delle solite garanzie.