Non credo che sia stata soltanto la cortesia, per quanto apprezzabile naturalmente anche o soprattutto in politica in una stagione come questa, contrassegnata da tante polemiche troppo spesso sopra le righe, a spingere la premier Giorgia Meloni dal lontano Brasile a trovare il tempo e la voglia di fare arrivare i suoi complimenti ai vincitori pur avversari delle elezioni regionali svoltesi in Emilia-Romagna e in Umbria. In Emilia-Romagna scontatamente, in Umbria meno, anzi a sorpresa, almeno per chi aveva pensato che la governatrice leghista uscente Donatella Tesei potesse farcela con l’aiuto dell’”alternativa popolare” dell’imprevedibile sindaco di Terni Stefano Bandecchi.
La “doppietta del centrosinistra” annunciata dal Messaggero, la “rivincita” della Schlein preferita della Stampa, i “due bei colpetti al campo Trump” indicati dal Foglio e altro ancora non sono necessariamente riconducibili solo ad una sconfitta, che pure c’è stata, del centrodestra. Peraltro diluita in un calo notevole dell’affluenza alle urne – dai 20 ai 12 punti fra Emilia-Romagna e Umbria considerando le analoghe e precedenti elezioni – che riduce di per sé dimensioni e significato della vittoria del campo stavolta davvero largo.
In quest’ultimo la parte del leone l’ha fatta il Pd. E quella della preda, col dimezzamento dei voti, o quasi, rispetto a quelli non lontani dello scorso mese di giugno per il rinnovo dell’Europarlamento, l’ha fatta il MoVimento 5 Stelle dell’alleato-concorrente Giuseppe Conte. La cui volatizzazione si deve, più ancora dell’azione della pur soddisfattissima Eddy Schlein, alla crisi interna latente da tempo ma letteralmente esplosa con la rivolta del garante a vita, fondatore, elevato, consulente a contratto e altro ancora Beppe Grillo. Che è ormai in fase eccitante di connessione – sul suo stesso blog, in fotomontaggio – con Elon Musk, l’amico, consigliere, finanziatore e quasi ministro dell’ex presidente americano Donald Trump cui mancano meno di due mesi al ritorno per altri quattro anni, gli ultimi, alla Casa Bianca. Dove l’uscente Joe Biden lo ha fatto riaffacciare con una certa cordialità dopo la vittoria elettorale, archiviando davvero una campagna mai condotta con tanta virulenza da entrambe le parti in competizione.
Ora dall’alto del quasi autosufficiente 42,9 per cento dei voti conquistato in Emilia-Romagna e del 30,2 in Umbria contro, rispettivamente, il 3,6 e il 4,7 del movimento ancora nominalmente pentastellato l’armocromatica Elly Schlein potrà sempre più difficilmente spiegare ai critici che ha al Nazareno il suo radicalismo oppositorio, motivato sino all’altro ieri con la necessità di difendersi dalla concorrenza di un pericoloso Conte incautamente promosso non da lei ma dai suoi predecessori al “punto più alto di riferimento dei progressisti in Italia”. Così, in particolare, lo avevano definito proprio al Nazareno e dintorni l’allora segretario del Pd Nicola Zingaretti e il consigliere Goffredo Bettini.
Nei rapporti di forza ormai consolidati con i risultati dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria, dopo quelli analoghi in Liguria il mese scorso, Giorgia Meloni può bene aspettarsi e reclamare dal Pd della Schlein un rapporto oppositorio sì, ma più costruttivo, più responsabile. Ed è forse proprio questo, più ancora della cortesia personale verso i nuovi governatori regionali, che ha spinto la Meloni a formulare, ripeto, auguri e quant’altro dal lontano Brasile, dove si trovava l’altro ieri ancora in missione per il G20 climatico.
Già tallonata in Italia dal presidente della Repubblica in persona, Sergio Mattarella, ricevendo al Quirinale per solidarietà e incoraggiamento il ministro uscente Raffaele Fitto in attesa di insediamento come esponente e vice presidente della nuova Commissione europea di Ursula von der Leyen, si vedrà a breve se e come la segretaria del Pd vorrà e saprà muoversi contro quella parte della sua “delegazione” a Strasburgo tentata dal no. Ma è solo la prima, più immediata prova che attende la segretaria piddina all’appuntamento con la responsabilità cui non può sottrarsi un’opposizione davvero democratica, e non sfasciatutto. Un altro terreno è quello della “rivolta sociale” che continua a propugnare il promotore principale dello sciopero generale del 29 novembre Maurizio Landini, al vertice della Cgil guidata a suo tempo, e di dimensioni ben più grandi, da Luciano Lama, per non andare ancora più indietro negli anni.