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Pd sinistrato dai referendum

Il dibattito nel Pd sui referendum si fa incandescente. La nota di Sacchi

I riformisti del Pd che ieri hanno scritto a “La Repubblica” per annunciare che non voteranno su tre quesiti relativi al referendum sul jobs act sottolineano che “la condizione del lavoro passa dal futuro non da sterili rese dei conti con il passato”. E quindi “non agitare simulacri fuori dal tempo”.

In quel passato fu paradossalmente lo stesso Pd guidato da Matteo Renzi premier ad essere l’artefice di riforme sul lavoro che ora sempre il Pd, guidato però da Elly Schlein, intende abrogare con il sì al referendum. Ma, nonostante l’auspicio dei “disobbedienti”, che non ritireranno la scheda sul Jobs Act e gli altri due quesiti sul lavoro e voteranno invece sì solo ai quesiti sulla cittadinanza e sugli appalti, ovvero la vicepresidente del Parlamento Europeo, Pina Picierno, il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, le deputate Marianna Madia e Lia Quartapelle, l’europarlamentare Giorgio Gori, il senatore Filippo Sensi, la consultazione dell’8 e 9 giugno rischia di avere proprio l’aria di una resa dei conti a sinistra più che mettere al centro i temi del lavoro e gli altri sottoposti a referendum.

Ad alto rischio di non raggiungere il quorum, i referendum sono al centro di sospetti e indiscrezioni. Schlein, al di là del quorum, ne potrebbe fare un forte momento di mobilitazione per consolidare e mettere al riparo da un congresso la propria leadership, spostando sempre più il Pd a sinistra, con buona pace dei riformisti “disobbedienti”, cui ieri ha risposto solo la responsabile lavoro dem Cecilia Guerra, liquidando la loro come posizione “personale” e ricordando che la linea del Pd è un’altra: quella dei cinque sì.

Maurizio Landini, segretario della Cgil, ovvero la forza sindacale che ha proposto i referendum, è invece a sua volta sospettato da Carlo Calenda, leader di Azione, che voterà no, per una volta d’accordo con il suo ex alleato al centro Matteo Renzi, ai quesiti sul Jobs Act e il lavoro, di prove generali per diventare lui il vero leader del centrosinistra. Mentre Giuseppe Conte, che voterà cinque sì seppur con qualche dubbio sul quesito relativo alla cittadinanza, ovvero il dimezzamento dei tempi per ottenerla, puntando a diventare a sua volta perno del campo largo non intende certo mollare anche lui la presa sul protagonismo di Landini.

Insomma, mentre il centrodestra se ne sta alla finestra, scegliendo l’astensione più o meno “propagandata”, per usare le tanto contestate parole di Ignazio La Russa, presidente del Senato, la sinistra rischia di mandare in onda l’ennesimo “film” sulle sue divisioni nella gara interna per la leadership dello schieramento. Per nasconderle non basterà la critica unanime a La Russa favorevole all’astensione. Già da ora, per le scelte variegate sui quesiti, il campo largo sembra andare in ordine sparso.

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