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Bilancio

I patti che mancano sul Patto

Non è più rinviabile un nuovo patto di stabilità in Europa: ecco perché. Il Taccuino di Guiglia.

Le vecchie regole furono sospese all’inizio della pandemia. Ma da allora quattro anni sono passati, e nel frattempo anche guerre e terrorismo hanno insanguinato il mondo. Non è più rinviabile, dunque, un nuovo patto di stabilità in Europa per salvaguardare l’economia dai gravi e perduranti effetti internazionali imprevisti ieri e imprevedibili domani.

LA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ

All’Ecofin riunito per il bilancio Ue 2024, i 27 ministri delle Finanze sono stati tutti ben consapevoli che riformare il patto ante-pandemia è una strada obbligata. A costo dall’aver già annunciato, alla ricerca dell’intesa più vicina, ma che ancora non c’è, un vertice straordinario per fine novembre. Così da poter approvare il nuovo patto entro l’anno. Altrimenti, ritornerebbero le vecchie regole per i conti pubblici europei.

Ma il “Patto di stabilità” si chiama anche “di crescita” e perciò, nell’esaminare la proposta che arriva dalla Commissione, l’impegno dei ministri riformatori dev’essere rivolto ai due aspetti della stessa macroeconomia: disciplina nei conti, ma pure un nuovo meccanismo per semplificare e per sostenere gli investimenti. Sorvegliare, quindi, il bilancio, ma senza i paraocchi del passato. Un intento che la campagna elettorale alle porte dell’Ue (giugno 2024) di sicuro non agevola.

COSA CHIEDONO GERMANIA, FRANCIA E ITALIA

A fronte di una finora tiepida mediazione della presidenza spagnola sulla dominante linea tedesco-francese (la Germania chiede garanzie sulla diminuzione del deficit e del debito, la Francia più sensibilità su fisco e investimenti), l’Italia sta puntando i piedi: non va bene fissare criteri sul deficit con un ulteriore margine sotto il 3% del Pil. Sarebbe penalizzante per noi. Meglio, a quel punto, rimanere persino con le vecchie regole.

Le trattative politiche su aspetti molto tecnici, ma dai risvolti pratici per i cittadini continuano. Accordo, del resto, significa tenere conto anche delle richieste di una delle tre principali economie dell’Ue, cioè la nostra.

Ma il dissenso italiano non sia muscolare, cioè impotente. E offra agli interlocutori un’alternativa sensata a ciò che si considera dannoso.

Anche quand’era a Palazzo Chigi, Mario Draghi ha insegnato che non c’è bisogno di alzare la voce per far pesare le buone ragioni dell’Italia. E che occorre costruire alleanze: da soli non si vince. La lezione vale sempre.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi
www.federicoguiglia.com

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