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Landini

Perché è senza senso il dibattito su patrioti e partigiani

Negare ai partigiani combattenti e caduti nella guerra di liberazione di essere dei patrioti non è un modo di valorizzarne, ma di sminuirne il sacrificio. La sinistra non ha il diritto di coinvolgere l’antifascismo nella sua sconfitta. L'analisi di Giuliano Cazzola.

A Bologna, che, su impulso del suo sindaco Matteo Lepore, vuole essere la città più progressista d’Italia, si è aperto un singolare dibattito che ci riporta alla parafrasi del celebre monologo di Nanni Moretti: “Mi si nota di più se mi chiamano patriota o partigiano?”.

Un dibattito che ricorda quello degli antichi sofisti, ma che deriva da decisioni operative riguardanti la toponomastica di piazze, giardini e vie della città, perché la Giunta ha deciso di cambiare  la denominazione per quanti  si opposero al nazifascismo. Saranno ricordati o come “partigiano” o “partigiana” (per fortuna non mettono ancora l’asterisco al posto della desinenza). Vengono abbandonati tutti gli altri “sottotitoli” – da “patriota”, appunto, a “caduto per la Liberazione” -, cioè le brevi frasi abbinate ai toponimi che hanno la funzione di descrivere il personaggio a cui è dedicato un determinato luogo pubblico. Si aggiungerà al massimo l’eventuale onorificenza al merito. In tutto si tratta di un’ottantina di cartelli da modificare o emendare.

QUAL È IL SENSO?

È difficile comprendere il senso di una delibera di questo tenore. Qualcuno sostiene che la modifica risponde al bisogno di non usare, per i propri caduti, una definizione che la destra ha assunto per i suoi e che continua ad essere un carattere distintivo dei militanti di oggi.

Se fosse questo il motivo, si tratterebbe di un errore politico, perché non si cede gratis ai propri avversari il diritto di fregiarsi del “patriottismo”, che non è un disvalore. Anzi, nella tradizione dell’antifascismo si è sempre negato alla destra fascista di attribuirsi l’amor di patria, di quella patria che la dittatura mortificò nelle libertà politiche e civili e trascinò nell’avventura di una guerra al solo scopo – come disse Benito Mussolini – di portare diecimila morti al tavolo della pace (che nel 1940 sembrava a portata di mano, al seguito della potenza nazista).

Davanti al Tribunale Speciale che lo condannava ad una lunga pena detentiva, Antonio Gramsci rivendicò al suo partito la missione di riscattare l’onore dell’Italia dopo la disfatta a cui l’avrebbe portata il regime. Sbarcato a Salerno nel 1944, Palmiro Togliatti, forte degli ordini di Stalin, impose al partito e ai compagni appena usciti dalle carceri fasciste una linea di collaborazione patriottica con quei settori già compromessi col regime, che il 25 luglio  l’avevano “scaricato” e combattevano contro gli invasori tedeschi, accantonando persino la questione istituzionale.

LA SINISTRA NON DEVE LASCIARE IL TERMINE “PATRIOTI” ALLA DESTRA

Anche la sinistra oggi non avrebbe dovuto consentire alle forze della destra di definirsi “patrioti”, difensori degli interessi nazionali nei confronti dell’Europa fino a metterne in discussione le appartenenze. Il patriottismo non va confuso con il nazionalismo.

Come diceva il generale De Gaulle, “il patriottismo è quando l’amore per la tua gente viene per primo; il nazionalismo quando viene per primo l’odio per quelli che non appartengono alla tua gente”.

Quando la destra in nome di un presunto patriottismo si dichiarava contraria alla Ue e alla moneta unica – da allora non sono trascorsi molti anni – gli si opponeva che quella politica avrebbe fatto il male dell’Italia. Ed era tanto vero che, arrivata al potere col governo Meloni, la destra ha accantonato le sue allucinazioni sovraniste e si muove in coerenza con le tradizionali alleanze  e con gli impegni assunti dai governi precedenti.

PARTIGIANI E PATRIOTI

Nel distintivo del Pci c’erano due bandiere; quella rossa e quella tricolore. Davanti alle sedi del partito venivano esposte entrambe, perché la bandiera nazionale era quella della Liberazione.

Secondo Lepore, vi è una differenza sostanziale tra l’essere stato “partigiano” o “patriota”? La prima definizione è, forse, l’espressione di un rango più elevato, di un carattere distintivo nell’apogeo della Repubblica? Persino l’ANPI, la custode di un antifascismo settario, ha espresso dei dubbi sulla trovata dell’amministrazione comunale di Bologna.

È insensato voler fare, oggi, dell’antifascismo militante e combattente un fatto elitario, un tratto eternamente divisivo tra chi ha combattuto dalla parte giusta della storia e chi da quella sbagliata. Inoltre, negare ai “partigiani” combattenti e caduti nella guerra di Liberazione, di essere dei “patrioti” non è un modo di valorizzarne, ma di sminuirne il sacrificio. La sinistra non ha il diritto di coinvolgere l’antifascismo nella sua sconfitta.

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