“Ormai non ci sono verità che non possano essere messe in dubbio: domina il primato del parere personale. Ma non è dato sapere tale dinamica dove ci porterà”, Questo è l’incipit di un recente articolo di Giuseppe De Rita ospitato dal Corriere della Sera, che ci propone un tema su cui sembra valga la pena di riflettere.
Spesso orfani di memoria, ci siamo lentamente affrancati dal giogo dalle ideologie ma anche dalla storia: come possiamo ogni giorno verificare, entrambe riaffiorano nel presente dominante, storpiate da una visione soggettiva delle cose. Il miscuglio di opposti e di contrari in cui siamo quotidianamente immersi ci lascia senza approdi emotivamente rassicuranti: è forse un residuo paradossale della globalizzazione che voleva un mondo interconnesso e ubiquitario ma ci fa vivere in una torre di Babele dove comunicazione e informazione si confondono, fino ad alterare il nostro modo di pensare, relativo, precario, intercambiabile e interconnesso. Nuove tecnologie e digitalizzazione dilagante penetrano i meandri più reconditi della nostra vita ma non sempre semplificano le relazioni umane e la comprensione della realtà.
Da quando le radici, i valori tramandati, gli ideali su cui poggiava una identità malferma e in perenne evoluzione sono stati sostituiti dalle opinioni personali diventa vero tutto ma pure il suo contrario.
Come ricorda De Rita — ad esempio — i nostri vecchi ci avevano insegnato che la matematica non è un’opinione: ma se uno dice che due più due fa quattro può spuntare qualcuno che obietta: “me lo dimostri”. Terrapiattismo, nichilismo, relativismo, miscredenze, negazione della scienza, alterazioni lessicali, semantiche e simboliche del linguaggio, dietrologia, luoghi comuni intercambiabili hanno alimentato una deriva di messa in discussione di tutto ciò che finora era una base anche emotivamente rassicurante su cui costruire una parvenza di futuro a corto raggio: il presente domina tutto e tutto rende instabile e insicuro.
Siamo tendenzialmente portati ad attribuire una valenza oggettiva agli aspetti anche più apparentemente banali della nostra esistenza: perché cerchiamo stabilità e certezze, perché desideriamo una realtà che ci protegga e ci contenga, cerchiamo spiegazioni, tracce, percorsi, approdi. Ma non c’è mai un orizzonte rassicurante davanti a noi, il disagio esistenziale dipende più spesso di quanto crediamo dalla soggettività delle valutazioni e dei punti di vista.
Un laccio che avvinghia anche la politica, ricordo un’interessante osservazione di Federico Fubini in un talk show televisivo: sovente molte diatribe, polemiche, pulsioni critiche che scompaginano la stabilità delle stesse istituzioni andrebbero analizzate sul lettino dello psicanalista. In questo drammatico periodo in cui l’ondata pandemica continua a dilagare con le sue cangianti mutazioni, si aggiunge lo sconvolgimento di una guerra che gli analisti politici si affannano a spiegare secondo criteri di valutazione geopolitica e geoeconomica ma la cui genesi forse risiede nell’instabilità emotiva, nel delirio di onnipotenza, nella visione distopica e solipsistica di una sola persona. Questo dimostra quanto sia carica di forza dirompente la soggettività di valutazione e di comportamenti che domina il latente delirio dell’uomo solo al comando, quanto ne siano condizionati gli effetti che si riverberano sulla quotidianità imperscrutabile di ciascuno.
Trovo che manchi la capacità di autocontrollo al pensiero che circola vorticosamente, alle parole che si dicono, alle decisioni che si prendono, alle onde lunghe di opinioni che si formano partendo da un input banale, effimero, a volte stupido e stucchevole, alla logica del “grande fratello” che ci avvolge dove siamo tutti prigionieri – anche per un attimo – di luoghi comuni e di fake create ad arte per conculcare e spegnere l’uso della ragione e l’etica delle azioni. Le opinioni diventano un vortice assorbente e confusivo, se uno vale uno tutto può essere affermato, tutto può essere negato. Sono mine vaganti e imponderabili che stimolano una deprecabile pedagogia sociale alimentata dalla sua vorticosa velocità diffusiva.
Ritengo importante che il Presidente del Censis, il più autorevole istituto di analisi e ricerca sociale del Paese, stigmatizzi questa tendenza che sposta in modo ondivago e non radicato nella realtà movimenti di opinioni disparate, che oscillano tra l’improbabile e il pericoloso: non è un fenomeno solo italiano ma planetario. Stranamente alla pseudo-democrazia del pensiero circolante corrisponde una visione globale confusa e contradditoria della realtà: mentre il pianeta si alimenta di parole, chat, tweet, post e ciascuno dice la sua (perché bisogna intervenire sempre, presenziare, creare un profilo personale, esserci, partecipare, provocare, alimentare la vorace curiosità di sapere tutto e di esprimersi fino a immaginare di essere l’ombelico dell’universo) si crea un’oligarchia mixata di poteri forti confliggenti che con mani sapienti pilotano dibattiti estenuanti sul nulla per essere liberi di organizzare un nuovo ordine mondiale.