Caro Direttore,
Quando ho sentito l’intervento di Paolo Corsini ad Atreju, sono rimasto scandalizzato: non si era mai visto un giornalista RAI parlare a un evento di partito, esprimere la propria vicinanza, fare allusioni politiche. Quando mai!
Scherzo. Se un pensiero ho avuto, è quello opposto. Come si può fingere di scoprire che la RAI è intimamente legata alla politica? Perché gridare allo scandalo per una cosa sotto gli occhi di tutti? Quando mai la RAI sarebbe stata al di là di ogni tentazione? In cosa Corsini è diverso da tanti altri prima e, siamo pronti a scommetterlo, dopo di lui?
Innanzitutto, quattro precisazioni. Primo, conosco Corsini da oltre 40 anni. Secondo, da quando è scoppiato lo scandalo non l’ho sentito. Terzo, questa lettera la vedrà solo se pubblicata. Quarto, non ho mai militato nel, o votato per, il suo partito o quelli che lo hanno preceduto.
Le regole americane
Ciò detto, trovo ipocrita attaccare Corsini, che non è certo il primo giornalista della radiotelevisione di Stato la cui posizione politica sia nota a tutti. Chiunque sia onesto converrà che pochissimi giornalisti italiani potrebbero scrivere sul New York Times, il cui codice etico pone severissimi paletti. «Non c’è posto per i giornalisti sul terreno della politica», si legge sul sito.
«I redattori hanno diritto di votare, ma non possono far nulla che possa sollevare dubbi sulla loro neutralità professionale o su quella del Times. In particolare, non possono fare campagna elettorale per, dimostrare per o appoggiare candidati, punti programmatici o tentativi di promuovere leggi. Non possono portare bottoncini elettorali o indissare qualsivoglia altra insegna politica di parte. Dovrebbero essere consapevoli che un adesivo sull’auto di famiglia o un cartello in giardino potrebbero esser loro attribuiti a prescindere da quale membro della famiglia li abbia effettivamente piazzati.»
A tali condizioni ci sarebbe posto per ben pochi giornalisti in una RAI nella quale, secondo la vecchia battuta, ogni dieci giornalisti assunti cinque erano DC, due PCI, due PSI e uno bravo. Simpatie e militanze sono il pane quotidiano dell’azienda, non ultimo per il controllo politico esercitato attraverso la leggendaria Commissione di vigilanza parlamentare. Senza stilare elenchi sulle redazioni odierne, che qualcuno potrebbe confondere con liste di proscrizione, ci si può soffermare sul recente passato. Bastano pochi minuti su Wikipedia.
«Madamina, il catalogo è questo»
«Il catalogo è questo». Come direbbe Leporello, «osservate, leggete con me.»
Partiamo da Alberto La Volpe, formatosi nel PSDI, ma poi transitato nel PSI, poi direttore del TG2 (1987-1993, quando i tre telegiornali RAI erano apertamente assegnati a DC, PSI e PCI) e quindi due volte sottosegretario dal 1994 al 1999.
Troviamo poi Piero Marrazzo, attivo nelle organizzazioni giovanili del PSI, passato direttamente da un ventennio in RAI alla presidenza della regione Lazio per il centrosinistra con L’Unione (2006-2009). Dopo tale esperienza, è tornato in RAI. Lo stesso percorso di Piero Badaloni, saltato alla conduzione del TG1 (1991-95) a quella di presidente del Lazio come indipendente di sinistra (1995-1999), per poi rientrare in RAI come corrispondente e persino direttore di RAI International.
Molti i passaggi dalla RAI agli scranni parlamentari, senza incarico di governo. Il primo in ordine alfabetico è Corrado Augias, eurodeputato PDS 1994-1999, ricandidato ma non rieletto, poi rientrato in RAI, ed anzi da poco riconfermato, alla leggiadra età di 88 anni. Alla lettera G c’è “Lilli” Gruber, conduttrice del TG2 e TG1, eurodeputata con l’Ulivo (2004-2008) e nel 2007 membro della commissione etica del PD. Alla M, il democristiano Clemente Mastella, in RAI per tre anni prima di saltare alla Camera (1976-2004), al Senato (2006-8) e tuttora sindaco di Benevento. Alla P troviamo Francesco Pionati, anch’egli DC, che da vicedirettore del TG1 saltò prima al Senato e poi alla Camera (2006-2013), per tornare quindi in RAI. Più articolato il percorso di Michele Santoro, partito dai maoisti dell’Unione Comunisti Italiani (dove scriveva per l’indimenticabile testata Servire il popolo) per approdare quindi a dirigere il quindicinale PCI La voce della Campania, a onor del vero venendone espulso perché non in linea. Dopo un lungo periodo in RAI (con parentesi in Mediaset), contrassegnato da scontri legati proprio al taglio politico delle sue trasmissioni, nel 2004 fu eletto al Parlamento europeo con l’Ulivo. Si dimise un anno dopo, per rientrare in RAI, uscirne e rientrarvi ancora nel 2016-18. Last but not least va ricordato David Sassoli. Proveniente dall’associazionismo cattolico (leggendaria la sua militanza scout, peraltro comune a Badaloni), era vicedirettore del TG1 quando nel 2009 il PD lo candidò al Parlamento europeo, del quale al terzo mandato fu presidente.
Pezzi da novanta
Per quanto incompleto, il catalogo non può omettere fuoriclasse assoluti come Sandro Curzi e Beppe Giulietti.
Tessera PCI dal 1944, tra i fondatori della FGCI, prima di approdare in RAI nel 1975 Curzi era già stato direttore dell’Unità e responsabile stampa e propaganda del PCI. Direttore del TG3 dal 1984 al 1993, gli impresse una direzione talmente coincidente con le posizioni del partito da meritare il soprannome di Tele Kabul.
E Giulietti? Entrato in RAI nel 1979, vi rivestì numerosi incarichi sindacali fino alla presidenza dell’Usigrai. Nel 1994 inaugurò 19 anni di parlamento tra PDS, PD e IDV. Rientrò quindi in RAI fino alla pensione, che raggiunse nel 2017, due anni dopo essere stato eletto presidente della FNSI.
L’elenco non è completo, ma tratteggia una situazione nella quale ciò che dà davvero scandalo non è la commistione di giornalismo e politica, ma che un dirigente dica apertamente di non riconoscersi in un modello monoculturale.
Interpretare le leggi
Come diceva Giolitti, «le leggi si applicano ai nemici, ma si interpretano con gli amici». E Corsini di nemici ne ha tanti. La sua vera colpa è di essere da tre mandati a capo della corrente L’alternativa della FNSI, di lavorare per un nuovo sindacato (Figec, Federazione Italiana Giornalismo, Editoria e Comunicazione, aderente alla Cisal), di aver da 15 anni dato vita all’associazione professionale Lettera 22. Un’opposizione chiara, molto più leale dei riposizionamenti che hanno luogo in RAI dopo ogni elezione, ma che mette sotto osservazione ogni sua parola.
Il punto non è insomma se si possa criticare Corsini per aver parlato ad Atreju, ma se applicheremmo lo stesso metro a qualsiasi altro giornalista RAI che parteci a un evento di partito. Peggio, che pur non prendendo la parola, confezioni un servizio rivolto più a compiacere il partito che informare il pubblico. O ancora, che come responsabile di un giornale, dia spazio a una sola tesi.
In altre parole, è ipocrita scoprire l’indipendenza solo quando si è all’opposizione o rifugiarsi in un autoreferenziale Omnia munda mundis. Più nobile sarebbe abbandonare il «Così fan tutte» e lanciare il cambiamento partendo da sé stessi.