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Pagare

Per preservare i monumenti italiani bisogna far pagare i turisti

La formula del pagare qualcosa per godere del bene comune, immenso ed eccezionale in Italia, non è né giusta né sbagliata: è inevitabile. Ecco perché. Il taccuino di Guiglia.

Per visitare la fontana più celebre del pianeta, qual è la fontana di Trevi, bisognerà presto avere una moneta da 2 euro in tasca. In previsione del Giubileo 2025, che porterà a Roma – dove tutte le strade del mondo ancora portano -, un caotico esercito di nuovi pellegrini, le istituzioni già prevedono un ingresso contingentato e un modesto contributo per rispecchiarsi nella fontana che Totò riuscì a vendere a un malcapitato credulone (“Totò truffa”, film del 1962). E che in precedenza l’innamorata Anita Ekberg aveva battezzato per sempre col suo “Marcello, come here!”, Marcello, vieni qui, ondeggiando come una sirena tra le acque: e che fatale richiamo per Marcello Mastroianni (“La dolce vita”, 1960).

La divina attrice svedese che si mostrava felice nella divina opera del Bernini, ci ricorda due cose: l’infinito amore degli stranieri per le bellezze senza tempo dell’Italia. E il dovere degli italiani di conservare al meglio il più vasto patrimonio storico-artistico dell’umanità (siamo il primo Paese al mondo con ben 60 siti riconosciuti dall’Unesco), a beneficio nostro, cioè di quello che siamo, e dell’universo, ossia di quel che gli altri percepiscono che noi siamo: la Nazione delle belle cose, della bella gente, della bella lingua. La terra dell’amore, che è la bellezza del cuore e dell’anima.

Ma per chi ha la fortuna e il privilegio del Bello da condividere col mondo, si pone un problema molto pratico: come pagare il mantenimento e la valorizzazione di un simile tesoro. Basti un esempio.

In Francia è già polemica, perché si prospetta un ingresso di 5 euro per visitare Notre-Dame a restauro completato e ormai prossima riapertura della cattedrale, dopo l’incendio che la devastò nel 2019. “Così salveremo tutte le chiese del Paese”, ha spiegato la ministra della Cultura, Rachida Dati. Ma le autorità ecclesiastiche hanno ribattuto che l’ingresso ai luoghi di culto deve restare gratuito, e non solo perché una legge lo impone.

Se trasferissimo questo dibattito molto serio in Italia, ci troveremmo con un problema enorme. Al di là della quantità e grandiosità delle nostre cattedrali (qualcuno ha idea di quante siano le nostre “Notre-Dame”?), il conteggio generale delle chiese in Italia è invece presto fatto: sono centomila. Non cento, mille o diecimila: centomila.

Riportiamo la riflessione dal sacro al profano. Per visitare il Pantheon, altro monumento unico al mondo, da oltre un anno già si pagano 5 euro. Anche se l’accesso è gratuito per una sfilza di categorie e per i ragazzi fino a 18 anni (e ridotto a 2 euro fino a 25 anni).

Passiamo da Roma a Venezia con la sua nuova filosofia turistica del previsto ticket giornaliero, peraltro anche lì con molte esenzioni, criteri limitati e particolari. Ma con un saggio obiettivo deterrente: scoraggiare le affluenze di massa e disorganizzate. Un po’ come le “partenze intelligenti” in autostrada, e guai a viaggiare nei giorni da bollino rosso e nero.

Insomma, per riaffermare il principio che la cultura è di tutti, è giusto oppure no far pagare qualcosa? Interrogativo sempre più attuale, se si pensa, inoltre, che siamo uno dei 5 Paesi più visitati del pianeta e che il turismo rappresenta il 13% della nostra ricchezza prodotta.

Con un’ulteriore considerazione: il sovraffollamento in periodi, luoghi o siti che non reggono più alle invasioni. Non le reggono gli abitanti e residenti -fenomeno che si registra anche in Alto Adige, altro territorio “sovraesposto”-, ma non le regge neppure la stessa fontana di Trevi, se non si disciplina l’anarchia collettiva che ogni giorno e ad ogni ora la contempla senza poi “coglierla” veramente. Posto che una tale bellezza non si può ridurre ai “vedo-non-vedo” e ai selfie di pochi istanti, tanta è la gente che vi si ammassa di fronte.

La formula del pagare qualcosa per godere del bene comune, immenso ed eccezionale davanti agli occhi, non è né giusta né sbagliata: è inevitabile. Non solo perché contribuisce a impedire gli affollamenti, regolarizzandoli, e incoraggiando sempre più il visitatore al “turismo consapevole”, cioè informandosi su tempi, modi e circostanze, ma anche perché non è una spesa, bensì un investimento. Investimento per consentire la cura e la conservazione della bellezza incontrata e visitata. Tanto più che si possono prevedere, e già si prevedono, forme per non penalizzare le persone in difficoltà economiche o le famiglie numerose. La cultura è di tutti o non è di nessuno: da qui non si scappa.

Se l’Italia vuole continuare a lasciare acceso il faro del suo patrimonio nazionale e universale, bisogna pagare e far pagare.

Ma sul quanto e sul come, neanche Totò saprebbe oggi “vendere” ai politici e agli amministratori la risposta giusta. Spetta caso per caso, città per città, monumento per monumento: la straordinaria diversità che rende l’Italia unica al mondo.

Pubblicato sul quotidiano Alto Adige
www.federicoguiglia.com

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