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Pacifismo, green e non solo, tutte le follie delle politiche emotive

Strabismo ecologista e miopia ambientale. Dopo la politica verde folle, Ursula ripensa la transizione climatica. La commissaria capa contraddice quanto l’Ue sosteneva perché è debole

 

Per una casuale ma significativa coincidenza, i quotidiani riportano oggi due commenti convergenti, di Aldo Grasso sul Corriere della sera e di Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore, che domandano come mai le piazze italiane empatizzino tanto con il dramma dei gazawi e meno con gli ucraini. Si potrebbe rispondere sbrigativamente che il supporto offerto da Italia e Ue all’Ucraina contro l’aggressione russa ha reso inutile manifestare, ma prendiamo la questione a pretesto per riflettere su come l’emotività influisca non solo su chi scende in strada ma anche nelle decisioni istituzionali, dove invece immaginiamo comandino pulsioni razionali e anaffettive.

Non c’è bisogno di arrivare al “follemente scorretto” che guida la Casa Bianca di Donald Trump, citiamo da un altro commento odierno di Luca Ricolfi, dopo che gli Obama e Joe Biden hanno imposto il “follemente corretto”. Abbiamo anche in casa nostra un esempio emblematico di politiche emotive, il green. Intanto, le sensibilità ecologiche sono curiosamente selettive: mentre le emissioni di CO2 sono sempre all’attenzione pubblica il consumo di suolo, su cui pochi giorni fa sono stati diffusi gli ennesimi e angoscianti dati Rapporto SNPA, non ne è stato mai degno. Una disparità assurda, assumendo per buona la tesi dell’AGW: se le emissioni clima-alteranti concorrono all’estremizzazione degli eventi meteo, il terreno impermeabilizzato da asfalto e cemento è sempre meno in grado di sopportarne gli effetti e concorre quindi alle conseguenze che lamentiamo.

Allo strabismo ecologista si aggiunge la miopia ambientale. Dopo anni di politica verde folle, riprendiamo il termine ricolfiano, che ha penalizzato le aziende europee senza contribuire significativamente all’auspicata inversione di tendenza nelle emissioni, Ursula von der Leyen si fa capofila di un ripensamento e il Consiglio Europeo approva la flessibilità della transizione climatica. La commissaria capa ha ceduto e contraddetto quanto sosteneva finora perché è debole e teme per la propria poltrona, sta di fatto però che l’Europa sembra così chiudere (vediamo, gli interessi in gioco sono enormi) la fase della trita ritualità delle COP e dei Nobel ad Al Gore 2017 e IPCC e a Obama 2019.

Sul primo merita evidenziare che il vicepresidente Usa è autore di un documentario infarcito di errori e che l’organismo Onu contro i cambiamenti climatici è un tipico esempio di quella commistione tra ricerca e politica che le sinistre dicono di combattere in nome della libertà della scienza. Sul secondo, che il 2019 ha visto anche incoronare persona dell’anno Greta Thunberg (nella quale si connettono entrambe le emotività, la verde e la Pro Pal): un’iconizzazione in cui hanno giocato, con l’assunzione dell’ecologismo quale perno del buonismo woke globale, il giovanilismo che esalta oltre misura qualunque ragazzo dica semplici banalità o persino fesserie (ricordiamo la commozione per l’ecoansia dell’attrice-studentessa?), e l’autismo Asperger da cui la svedese è affetta. Elemento che contribuiva più di quanto si pensi alla sua popolarità, si pensi solo alla rigidità facciale che la rese un meme celeberrimo.

Il calo di popolarità del green impone anche di ricordarne le origini, le radici tutt’altro che progressiste. Del resto, è ovvio. Chi si batte contro progresso, tecnologia e innovazione perché alterano l’ambiente naturale non può condividere alcun pensiero che punti allo sviluppo materiale e al benessere delle persone, liberal-liberista o social-comunista che sia, e deve allacciarsi a una visione del passato come purezza. Un mito che alligna ampiamente nelle narrazioni religiose, con il “peccato originale” e il “diluvio universale”, e che sottostà anche a ideologie razzistiche, con le quali i primi Grunen nordeuropei si mescolarono non poco.

Solo nel dopoguerra l’ideologia verde ha cominciato ad assumere tinte rosa, quando non rosse, e proporsi come alternativa per i socialisti orfani di un’utopia che mostrava la propria faccia liberticida e il proprio fallimento statuale ed economico visione (si veda il recente “Green” di Mauro Suttora uscito con Neri Pozza). Nessuno, però, immaginava che questo sarebbe divenuto il binario delle sinistre, in parallelo con quello immigrazionista e multiculturale. Non meno contraddittorio per chi dovrebbe sostenere i lavoratori: di tutto il mondo, sì, ma in primis della propria nazione.

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