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economia tedesca

Ecco fini e sfide del viaggio di Scholz in Ucraina e Russia

Scholz dovrà confrontarsi con l’ennesima richiesta del premier dell'Ucraina, Volodymyr Zelenskyy, di armi tedesche. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino.

 

È arrivato il momento di Olaf Scholz. Tocca al nuovo cancelliere tedesco misurare la propria dimensione (e quella del suo paese) nello scenario di mediazione che l’Europa sta tentando di costruire attorno alla crisi russo-ucraina e alle ambizioni di Putin di ridisegnare gli equilibri geopolitici tra la Neva e la Sprea. Cioè lungo quella soglia tettonica che trent’anni fa cominciò a scivolare verso l’est liberato dal giogo sovietico e che adesso i russi vorrebbero riportare più a ovest possibile. Il ritiro inglorioso e caotico dall’Afghanistan degli Usa e dei suoi alleati occidentali deve aver convinto Putin che sia arrivato il momento giusto per ridiscutere tutto.

Intanto ammassa truppe al confine con l’Ucraina e si esercita in manovre militari con la Bielorussia e sul Mar Nero. Di fronte a questo flettere di muscoli, il cancelliere Scholz ha chiesto consiglio anche ad Angela Merkel su come trattare. L’ex cancelliera trovò un aggressivo cane nero ad attenderla assieme al leader del Cremlino, nel giorno del loro primo incontro. Putin sapeva della sua apprensione per i cani e – narrano le leggende – fece in modo di mettere bene a disagio la sua interlocutrice. Ma nei sedici anni dell’era Merkel i rapporti tra i due sono stati cordiali e produttivi, come dimostra il pervicace sostegno dell’ex cancelliera per il Nord Stream 2, anche se non così camerateschi come quelli con il compagno Schröder.

A Scholz, che dei cani non ha timore, non toccherà il faccia a faccia con un pastore del Caucaso, ma un posto d’onore all’altro capo del tavolone di Putin, oggetto mobiliare – pare di fabbricazione italiana – divenuto ormai centrale in questa fase di ritrovata guerra fredda. Nell’immaginario collettivo (che ai tempi di Instagram e degli altri social è fatto di foto) ha ormai sostituito il simbolismo pseudo-erotico rappresentato dal lettone di Putin, a conferma del vecchio detto che si stava meglio quando si stava peggio.

Se dagli Stati Uniti un Biden un po’ assopito lancia un giorno sì e l’altro pure allarmi di invasioni russe imminenti (l’ultimo messaggio di questa notte è che i servizi Usa ritengono probabile un attacco martedì, in concomitanza di manovre ucraine che potrebbero fornire un pretesto, ma almeno a festeggiamenti di San Valentino conclusi), da Berlino la ministra meno filorussa del governo getta nuova acqua sul fuoco. In un’intervista alla tv pubblica Ard, Annalena Baerbock ammette che la situazione sia “assolutamente precaria”, ma aggiunge che, da informazioni in suo possesso, “non ci sono segnali che un conflitto militare sia già stato deciso”. Spazio dunque all’ennesima mediazione europea, questa volta affidata al calendario di Olaf Scholz. Oggi Kiev, domani Mosca.

Nella prima tappa ucraina, il neo cancelliere dovrà confrontarsi con l’ennesima richiesta del premier Volodymyr Zelenskyy di armi tedesche. Evidentemente gli elmetti, inviati a sprezzo del pericolo (e del ridicolo) nei giorni scorsi, non sono stati apprezzati. Ma sono quelle richieste che si fanno per riflesso condizionato e per solleticare l’opinione pubblica interna e magari per strappare qualcos’altro su altri campi. Berlino non intende inviare nemmeno una scacciacani a Kiev, con la scusa che la Germania non vende armi in aree di crisi (concetto in verità abbastanza lasco nella politica commerciale tedesca degli armamenti), ma è disposta a immettere investimenti a più zeri in progetti di transizione energetica e di sviluppo delle fonti rinnovabili, idrogeno innanzitutto. Fate l’amore, non fate la guerra.

Zelenskyy ha urgenze più stringenti, tipo quella di assicurarsi che domani sarà ancora lui a guidare un paese indipendente, ma la verità è che Berlino non è solo attenta alle permalosità moscovite, per tradizione geopolitica e per rimorsi storici (che dovrebbero valere anche per gli ucraini): il problema è che ogni qualvolta i tedeschi hanno messo il naso nelle vicende ucraine degli ultimi anni si sono ritrovati invischiati in situazioni molto più ingarbugliate e chiare di quanto previsto. Il caso Julija Tymosenko è solo uno dei tanti.

Poi sarà la volta di Mosca, del Cremlino e del tavolone. I media tedeschi e gli sherpa governativi che hanno pianificato l’incontro descrivono le due tappe orientali del cancelliere come una missione diplomatica in nome della pace e dell’Europa. Ma gli europei si marcano stretti, a cominciare da quelli che si dichiarano più amici. Così da Parigi si fa sapere (via Frankfurter Allgemeine Zeitung) che Macron si è rallegrato della “perfetta corrispondenza delle posizioni francese e tedesca” dopo una telefonata con Scholz sabato sera. E che l’Eliseo, attraverso un comunicato ufficiale, ha lasciato trapelare “un certo sollievo per il fatto che Scholz non punti a un’iniziativa diplomatica che vada oltre il mantra della de-escalation”. Parigi insomma, parole della Faz, “si aspetta dalla visita del cancelliere che il presidente Putin dia segnali più chiari rispetto a una settimana fa”.

Segnali nel solco della trattativa impostata da Macron. Così le ambizioni e le gelosie personali entrano di diritto nel calderone di una fase nella quale le certezze sono poche e la propaganda tanta.

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