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Perché la futura coalizione di governo non potrà non essere euro-atlantista

L'analisi di Germano Dottori, analista geopolitico e consigliere scientifico di Limes.

 

È evidente che l’Italia soffre particolarmente le conseguenze della guerra che sta devastando l’Ucraina, ma il messaggio che Draghi sta lanciando è che non è possibile unilateralmente sfilarsi dalle sanzioni senza pagare un prezzo molto alto.

Il debito pubblico della Repubblica italiana sta viaggiando verso il poco invidiabile traguardo dei 3mila miliardi di euro. Atteso che non disponiamo di una banca centrale che sia disposta a finanziarlo a pie’ di lista, esiste una dipendenza del nostro paese dai mercati finanziari internazionali che non si può ignorare.

Non si tratta di entità astratte. Ne fanno parte anche i risparmiatori italiani che sottoscrivono i titoli direttamente o tramite la propria banca di fiducia. Per sopravvivere, il nostro stato ha bisogno di una buona reputazione, che si costruisce giorno dopo giorno attraverso scelte chiare e comprensibili, tra le quali quelle di politica estera sono tra le più importanti.

Alla determinazione del merito di credito, di fatto, concorre anche la grande stampa internazionale, un dato di cui Draghi è sempre stato consapevole. È per questo motivo che sul posizionamento del nostro paese non dovrebbe sussistere alcuna ambiguità. È in fondo proprio questo ciò che il premier ha voluto ricordare al recente meeting di Rimini.

Quanto precede ha chiare implicazioni: il governo che nascerà dopo le prossime elezioni non potrà non avere una maggioranza che condivida i tratti fondamentali della politica estera del nostro paese com’è stata definita a partire dal 1948.

Di tale circostanza pare essersi accorta anche Giorgia Meloni, che guida il partito accreditato attualmente del più alto numero di preferenze tra gli elettori italiani e non a caso dialoga con Draghi. Su queste basi, Rino Formica ha individuato per il premier uscente un ruolo futuro da “lord protettore”, formula ad effetto che allude a una funzione di garanzia che Draghi dovrebbe svolgere presso i nostri interlocutori, per conto di chi governerà.

Ma è davvero possibile che l’ex banchiere centrale europeo possa onorare una missione tanto delicata senza essere coinvolto in prima persona nelle vicende politiche che si dipaneranno di qui a qualche settimana? Come farà Draghi a farsi garante dell’Italia senza trovarsi direttamente al governo? Tutto questo, naturalmente, rinvia a valutazioni che non possono essere anticipate oggi, dipendendo dai risultati delle elezioni e dal modo in cui i nostri partner maggiori e i mercati internazionali reagiranno ai successivi sviluppi.

In caso di tempesta, servirà un parafulmine alto. Qualsiasi coalizione che non sia cementata da un atlantismo certo e da un europeismo solido, non necessariamente passivo nella difesa dell’interesse nazionale, sarà intrinsecamente fragile. Proprio per questo motivo, l’elenco delle coalizioni possibili dopo il voto è più ampio di quello che gli elettori si troveranno sulle schede.

(Estratto di un articolo pubblicato su Domani)

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