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Italia Regno Unito

Non solo Tempest, tutte le sintonie tra Italia e Regno Unito

L'analisi di Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa dello Iai, per Affarinternazionali

Cosa lega un’isola anglosassone nel Mare del Nord ed una penisola latina nel Mediterraneo, tanto diverse tra loro, in modo così forte da resistere alla Brexit (e alla finale degli europei di calcio)? Molto più di quanto si pensi, mentre i rapporti bilaterali evolvono per la nuova posizione del Regno Unito.

Secondo i dati dell’indagine Swg presentati alla XXIX edizione del Convegno di Pontignano, il 46% degli italiani è stato nel Regno Unito – complici i viaggi studio per imparare l’inglese, lingua intelligentemente sfruttata come soft power – ed il 18% vi ha vissuto per più di un anno, mentre attualmente circa 700mila italiani risiedono oltre Manica.

La percezione prevalente in Italia è quella di un Regno Unito aperto, dinamico e con opportunità di studio, lavoro e business. Ciò è particolarmente vero tra i giovani e in determinati settori, basti pensare che gli italiani sono la maggiore componente non-britannica del personale delle università e centri studi del Paese.

AMORE RECIPROCO

Cinque anni di Brexit non sembrano aver cambiato tale percezione positiva, se è vero che circa due terzi degli italiani sono favorevoli a coinvolgere Londra nei piani europei quanto a clima, sicurezza e terrorismo, pandemia, cybersecurity. Ma l’uscita del Paese dall’Unione ha rallentato il flusso di italiani diretto oltre Manica, viste le incertezze e le complicazioni del risiedere in uno stato non-Ue.

Anche da parte britannica l’attitudine verso l’Italia è storicamente favorevole, specialmente tra le elités dove dal Grand Tour ottocentesco di Keats e Shelley – entrambi sepolti a Roma – si arriva all’attuale fascinazione per i paesaggi, la cultura ed il Made in Italy. Una fascinazione su cui diverse realtà italiane hanno costruito un discreto sviluppo economico, basti pensare alla “Tuscany Shire”. L’import-export bilaterale è significativo in molti campi, dalla manifattura all’agroalimentare, all’aerospazio e difesa, ma qui la Brexit inizia a pesare.

Gli ultimi dati segnano una flessione dell’interscambio, rispetto alla quale avrà certo influito la pandemia, ma che molti esperti interpretano come un dato strutturale: non essere più parte del mercato unico Ue comporta costi, barriere e ritardi al commercio che ne frenano giocoforza lo sviluppo.

Con la Brexit si è aperta una nuova fase dei rapporti bilaterali tra due Paesi dei quali uno solo è membro dell’Ue. Da un lato la cooperazione è forte in molti ambiti, a partire dalla transizione ecologica ed il lavoro che la presidenza italiana del G20 e quella britannica del G7 stanno facendo  anche in vista della COP26. Dall’altro lato, l’Italia deve bilanciare lo spazio di manovra nel rapporto bilaterale con gli impegni in ambito Ue, ed il Regno Unito deve fare i conti con la nuova realtà post Brexit.

LONDRA DOPO L’ADDIO ALL’UE

Le conseguenze dell’uscita dall’Unione sono infatti molteplici e con un impatto di lungo periodo sulla postura britannica. Il dibattito politico interno è diventato molto più polarizzato, ai danni della solidità delle stesse istituzioni. Le linee di frattura con Scozia e Irlanda del Nord si sono acuite. I ministeri e le agenzie britanniche devono dedicare risorse e tempo a reimpostare attività che prima funzionavano regolarmente nel quadro Ue.

Inoltre, Londra è e sarà costantemente impegnata in complessi negoziati con Bruxelles su una serie di questioni di mutuo e divergente interesse, dalla pesca al confine irlandese, che rendono più difficili i rapporti con Bruxelles e i Paesi Ue. Al tempo stesso, il Regno Unito è tagliato fuori dal processo decisionale dell’Unione, che nei precedenti decenni aveva efficacemente influenzato dall’allargamento a est al mercato dei servizi. Quindi d’ora in poi Londra si trova regolarmente di fronte una posizione U3 già definita, e più distante dai proprio interessi nazionali, sui molti e rilevanti dossier trattati a Bruxelles.

GLOBAL BRITAIN…

La risposta britannica alle incertezze e difficoltà della Brexit è stata la Global Britain, leitmotiv anche della recente Integrated Review britannica: l’idea di una potenza globale che in virtù della ritrovata, totale sovranità è più in grado di sviluppare rapporti bilaterali dall’Atlantico al Pacifico. In verità i cinque anni di negoziati post referendum hanno talmente assorbito le energie politiche britanniche che la voce di Londra si è affievolita su molti dossier – inclusa la Libia.

Una volta firmati gli accordi con l’Ue, il 2021 ha visto una graduale ripresa della proiezione internazionale inglese, complice la presidenza del G7. Una ripresa simboleggiata anche dal varo della portaerei Queen Elizabeth, e dalle sue tappe dal Mediterraneo all’Indo-Pacifico con importanti incontri bilaterali. La recente adesione di Londra all’alleanza trilaterale impostata dagli Stati Uniti con l’Australia in chiave di contenimento della Cina, che comprende un’importante commessa industriale per i sottomarini nucleari della Royal Australian Navy, dà ulteriore slancio all’immagine di una potenza marittima globale che attinge ai positivi legami rimasti nel Commonwealth.

… O MEDIA POTENZA?

Bisognerà però vedere quanto una media potenza europea come il Regno Unito, con una popolazione ed un Pil poco superiori a quelli italiani, può veramente essere globale, al di là dell’auto-percezione collettiva inglese. Lo stesso caso dei sottomarini per l’Australia dimostra le velleità di certe ambizioni globali della Francia, quando nell’Indo-Pacifico ci si confronta con i pesi massimi americano o cinese.

Che ci si collochi dentro o fuori l’Ue, rimane il fatto che in Europa non esistono più grandi potenze, ma solo medie potenze che possono tutelare meglio i propri interessi comuni facendo blocco a livello europeo e nel quadro transatlantico. È questo il punto di partenza per sviluppare tanto il rapporto strategico tra Roma e Londra, quanto quello – tutto da costruire – tra Regno Unito e Ue.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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