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Orbán Ungheria

Nodo Ungheria al Consiglio europeo

L'articolo di Enrico Martial

 

Nel vertice europeo dei Capi di stato e di governo del 24 e 25 maggio non ci saranno soltanto il Covid, il cambiamento climatico, le relazioni con la Russia e la Brexit. Sullo sfondo, c’è anche l’Ungheria.

Era già un paese complicato, per la libertà dei media, variamente soppressi, e per il rispetto dello stato di diritto: una “democrazia illiberale” secondo le parole di anni fa del primo ministro Viktor Orbán, se non proprio sulla strada dell’autocrazia, per non dire delle accuse di uso allegro dei fondi europei.

L’Ungheria diverge in modo sempre più netto dagli altri Stati membri intanto nella politica estera, e su temi caldi. A metà aprile ha impedito la presa di posizione dei 27 sulla legge sulla sicurezza di Hong Kong, il 18 maggio si è smarcata dall’invito adottato dagli altri Stati membri per il cessate il fuoco tra israeliani e palestinesi. Il 20 maggio, il ministro degli esteri, Peter Szijjarto, ha annunciato che non ratificheranno la pur limitata revisione dell’Accordo di Cotonou con i Paesi africani, del Pacifico e dei Caraibi.

L’idea di Viktor Orbán, in parte condivisa dalla Polonia di Mateusz Morawiecki, è contraria ai meccanismi di cooperazione internazionale e in particolare all’Unione europea. Come nel trumpismo, in una rivisitazione del realismo classico, perché esposta a forze divergenti, l’Ungheria deve trovare o scegliere collaborazioni o alleanze temporanee, come strategia di vantaggio nel gioco delle grandi potenze.

In questo modo, l’Ungheria non esita a comprare a mani basse dalla Cina, ad acquisire da questa e dalla Russia i vaccini, a rigettare il 20 maggio l’adesione all’ultimo acquisto collettivo della Commissione per 1,8 miliardi di vaccini BioNTech-Pfizer. Proprio il punto sulla Russia del Consiglio europeo del 24 e 25 maggio fa immaginare una posizione specifica ungherese, anche se si cercherà di metterla in sordina nella comunicazione ufficiale.

Bruxelles è abituata per la stessa storia dell’integrazione a trovare soluzioni e ad aggirare le posture divergenti, in questo anche relativamente isolate. In occasione della celebrazione dei trent’anni di esistenza del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Cechia, Slovacchia), il 17 febbraio scorso, cechi e slovacchi hanno preso le distanze da Orbán e dalla sua visione complessiva, preferendo un posizionamento occidentale ed europeo classico.

Sul tema dello Stato di diritto il conflitto è aperto da anni. I governi di Ungheria e Polonia, ancora al Consiglio europeo di Porto dell’8 maggio, quello sui diritti sociali, si sono opposti all’uso dell’espressione “parità dei generi” nel testo delle conclusioni, preferendo la “riduzione delle differenze sui posti di lavoro”.  Sono portatrici di una visione dei diritti e dell’organizzazione dello Stato su cui il contrasto politico ha condotto infine il 3 marzo scorso – dopo anni di dibattito – all’allontanamento del partito di Orban, Fidesz, dai Popolari europei. Non riuscendo a far votare una messa in mora sui temi dello stato di diritto (artt. 2 e 7 del trattato, come avvenne per l’Austria di Jörg Haider nel 2014), a maggioranza del Consiglio è stata approvata una condizionalità nell’uso dei fondi europei, contro cui Polonia e Ungheria hanno fatto ricorso alla Corte di Giustizia l’11 marzo scorso.

Anche per questo, l’Ungheria esprime una netta divergenza sul piano finanziario. Polonia e Ungheria si erano opposte al bilancio pluriennale l’8 dicembre 2020, e avevano dovuto poi votarlo pena la loro esclusione dal Recovery Plan attraverso il meccanismo della “cooperazione rafforzata”. Anche sulla ratifica da parte degli Stati membri del meccanismo delle “risorse proprie” – necessario per il Recovery – l’Ungheria tergiversa. Secondo l’ultimo rapporto di avanzamento, è più arretrata degli ultimi quattro Stati membri: ci sono le date di Austria e Romania, tra maggio e giugno, i Paesi Bassi l’hanno approvata nella Camera bassa, il parlamento di Orbàn ancora “la sta esaminando”.

L’affastellarsi di divergenze si è acuito nelle ultime settimane, ma sono del 18 maggio quella sul cessate il fuoco in Israele e Palestina e del 20 maggio quelle sui vaccini e sull’Accordo di Cotonou, proprio alla vigilia del Consiglio europeo.

La postura ungherese su Cotonou in particolare è risultata ancora più incomprensibile di altre, visto che si tratta di modifiche modeste, e che la discussione era stata ampiamente completata. A meno che non si tratti del passaggio su un piano diverso, di aperto e irrimediabile contrasto.

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