Letta inforcando gli occhiali della cronaca quotidiana, la ricorrenza della Giornata mondiale dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – voluta dall’ONU con la solenne Convenzione del 1989 – evoca più inquietanti interrogativi che certezze e ricorda, più di ogni altra consacrazione giuridica di principi etici a tutela dei minori, quanto si stia dilatando nella società di questo tempo il gap tra affermazioni di principio e realtà, tra teoria e pratica. Non è certo un’occasione da bypassare con rassegnata indifferenza, se mai impone una riflessione necessaria sulla mancata realizzazione di molti diritti conclamati e sul suo correlato speculare: l’assenza nei dibattiti, nei convegni, nei documenti ufficiali, nel confronto politico istituzionale e persino nelle piazze di un tema troppo a lungo dimenticato. Quello dei doveri che riguarda coloro che per natura o vocazione si occupano della condizione minorile – dalla famiglia, alla scuola, al mondo dell’associazionismo – ma anche dei bambini e degli adolescenti stessi, adultizzati e resi protagonisti di fatti di cronaca che li vede attori di episodi di violenza fisica o simbolica, in un crescendo statisticamente allarmante che spesso fa il paio con un uso disinvolto e fuori controllo delle tecnologie.
Secondo il rapporto pubblicato dall’UNICEF (2024), più di 473 milioni di minorenni, cioè quasi uno su cinque, vivono in aree direttamente colpite da guerre e conflitti violenti (la maggior parte, più di 180 milioni, si trovano in Africa). È il dato più alto mai registrato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e sottolinea l’aggravarsi di una crisi umanitaria ormai globale e intergenerazionale. Alle endemiche condizioni di malnutrizione, malattie, deprivazioni di ogni tipo dei cd. “Paesi del Terzo Mondo”, le guerre in atto da anni stanno infliggendo ai bambini e agli adolescenti una condizione esistenziale tragica: in Medio Oriente e in Ucraina in particolare dove le vittime della belligeranza in atto sono al 90% civili e tra questi i più indifesi e sacrificati alla follia dell’uso massiccio dei missili e dei droni sono minori. Ci si chiede come i diritti della Dichiarazione ONU del 1989 conclamati a livello universale siano in questi contesti cancellati dalla totale assenza di doveri da parte di quegli Stati che adottano la strategia della devastazione dei contesti di vita e della distruzione di massa. Anche se ci fosse stato un solo bambino ucciso, uno solo, sarebbe stato un inaccettabile crimine di guerra. Gli stessi Governi che sottoscrivono i trattati sui diritti dei minori si macchiano di nefandezze inaccettabili.
La Società italiana di Pediatria in questi giorni denuncia dati drammatici. Come ricorda un recente documento dell’European Academy of Paediatrics (EAP) 2025, i bambini sono vittime in molti contesti ad altissima criticità. In Ucraina, secondo i dati delle Nazioni Unite di settembre 2025, dal febbraio 2022 sono stati registrati 3.018 casi di bambini vittime del conflitto di cui 733 uccisi e 2.285 feriti, oltre 19000 di cui si conoscono le generalità sono stati deportati dalla Federazione russa, il 70% non ha accesso a beni e servizi essenziali, tra cui cibo, abbigliamento adeguato, riscaldamento nelle abitazioni e istruzione. Secondo Save The Children da ottobre 2023 a Gaza si contano 20 mila bambini uccisi sotto i bombardamenti mentre le conseguenze non riguardano solo i morti ma anche decine di migliaia di feriti, mutilati e malnutriti, in una striscia devastata dove scuole e ospedali sono stati distrutti e la carestia mette a rischio soprattutto i bambini sotto i cinque anni. In entrambi i contesti di guerra decine di migliaia di minorenni rimasti soli, orfani con danni psicologici incalcolabili derivanti da un’infanzia rubata e con conseguenze che lasceranno segni indelebili nei sopravvissuti.
In Sudan, più di 14 milioni di minori hanno urgente bisogno di aiuti, tra fame, malattie e violenze sessuali diffuse; in Afghanistan, 3,5 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta; nella Repubblica Democratica del Congo milioni di minori rischiano il reclutamento forzato e la tratta.
Molte situazioni simili riguardano altri Stati, come Armenia, Afghanistan, Haiti, Myanmar. Sono dati drammatici ai quali non si può restare indifferenti: è una strage degli innocenti che rimuove l’idea stessa di civiltà ed evoca le fasi più buie della storia dell’umanità.
Ma nel mondo evoluto e digitalizzato, nelle democrazie occidentali a cominciare dall’Italia si stanno incancrenendo piaghe di altro tipo, non meno deprecabili. Sfruttamento della prostituzione minorile, diffusione di droghe e armi tra i giovanissimi, disgregazione delle famiglie che si riverberano sui figli, uso generalizzato e senza controlli della rete dove si mietono più vittime che sui campi di battaglia, pedopornografia, sexting e revenge prorn: il virtuale si sovrappone al reale generando violenze fisiche e simboliche. Il pressapochismo globalizzato dell’enfasi delle tecnologie e degli apparati mascherato come evoluzione sotto l’egida della libertà sta ribaltando valori come la dignità, il rispetto, l’innocenza dell’infanzia, la delicatezza esistenziale dell’adolescenza: tutto in nome di interessi commerciali che inondano come tsunami la vita sociale, familiare e individuale delle giovani generazioni. L’I.A. è uno strumento tendenzialmente innovativo se utilizzato con competenza e responsabilità: diventa una bomba atomica se messo nelle mani di delinquenti senza scrupoli (basti ricordare le recenti alterazioni somatiche utilizzate come strumento di “sostituzione di persona”: un reato gravissimo rispetto al quale la legalità resta un passo indietro rispetto alla fraudolenza).
Secondo un sondaggio inedito sul rapporto tra adolescenti e Intelligenza artificiale dal quale emerge anche la funzione di conforto emotivo degli strumenti dell’IA, contenuto nella XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia, dal titolo “Senza filtri”, diffuso da Save the Children, il 41,8% dei ragazzi e delle ragazze tra i 15 e i 19 anni afferma di essersi rivolto a strumenti di Intelligenza artificiale per chiedere aiuto in momenti in cui si sentiva triste, solo/a o ansioso/a. Una percentuale simile, oltre il 42%, per chiedere consigli su scelte importanti da fare (relazioni, sentimenti, scuola, lavoro). Il 92,5% degli adolescenti ascoltati utilizza strumenti di IA, contro il 46,7% degli adulti. Il 30,9% – quasi un/a ragazzo/a su tre – tutti i giorni o quasi, il 43,3% qualche volta a settimana, solo il 7,5% non la utilizza mai. Se in classe – di fronte ad un impegno scolastico – un adolescente risolve un problema o scrive un tema usando ChatGPT vuol dire che stiamo a poco a poco sostituendo le facoltà mentali e l’intelligenza naturale con gli algoritmi e l’intelligenza artificiale.
Recentemente ho scritto un articolo per la Rivista AdolescenzE sul tema della necessità di adeguare le competenze del Garante dell’infanzia e dell’adolescenza alle sfide dell’I.A. ma non ho avuto riscontri di iniziative: eppure il tema è fondamentale perché sposterebbe il “da farsi” dall’ambito giudiziario a quello della supervisione e dell’indirizzo pedagogico. La politica non ascolta questo tipo di richiami e la burocrazia non si adatta alle urgenze epocali e contingenti. Trovo riprovevole questa disattenzione.
Quando il disagio di un figlio non trova ascolto e interlocuzione con i propri genitori ma nell’I.A. vuol dire che la famiglia si riduce ad un dato statistico per le rilevazioni dei censimenti. Le responsabilità dei genitori sono enormi anche di fronte alla violenza dilagante agìta da giovani e giovanissimi. In America Latina le baby gang (es. Mara Salvatrucha e Mara 18) tengono sotto scacco le forze dell’ordine: qui non siamo ancora così organizzati ma se un minore infraquattordicenne uccide un coetaneo a coltellate senza un motivo, per una parola, uno sguardo, se i ragazzini e le ragazzine si aggregano per compiere atti delinquenziale di una efferatezza che fa inorridire, vuol dire che la famiglia ha perso il controllo educativo dei figli. Qui ci sono responsabilità da evidenziare e doveri naturali e legali da riscoprire. La violenza tra minori è il fatto emergente della condizione giovanile oggi, con un target di età tra i protagonisti che si abbassa vertiginosamente. Quindi per favore non perdiamoci nella rincorsa ad aggiungere diritti a quelli esistenti: se mai la società, la scuola e la famiglia si adoperino con meno buonismo e indulgenza nello stigmatizzare e correggere – nei modi e nei limiti che la legge riconosce per recuperare e rieducare – la violenza, anche se compiuta da un ragazzino di 14 anni.
Fiaccolate postume e palloncini liberati al cielo, applausi ai funerali sono inutili rituali e coreografie che seguono omicidi, stupri, rapine, comportamenti riprovevoli individuali o di gruppo che siano.
Abbiamo perso il concetto della vita come valore assoluto e supremo: troppi diritti hanno portato spesso a molti rovesci.
Riscopriamo e diffondiamo il sentimento del dovere come atto di dignità e rispetto di sé e degli altri.



