L’impegno politico dei giovani viene affrontato sotto una nuova luce nello studio dell’Institut Montaigne intitolato “I giovani e il lavoro: aspirazioni e disillusioni dei 16-30enni”, pubblicato martedì 29 aprile dopo un’indagine sul campo condotta su 6.000 giovani nell’autunno 2024. Gli autori, Yann Algan (HEC Paris), Olivier Galland (CNRS) e Marc Lazar (Sciences Po), hanno osservato il rapporto con la politica di tre categorie di giovani: quelli in formazione, quelli in cerca di lavoro e quelli già inseriti nel mercato del lavoro.
“Ne emerge una netta divisione – osservano -. La metà dei giovani se ne allontana, non si riconosce in nessuna offerta partitica. L’altra metà si divide tra due poli: il 25% si dichiara vicino alla sinistra radicale, il 33% alla destra radicale“. Scrive Le Monde. […]
I più attratti dalla sinistra radicale sono soprattutto i laureati in discipline letterarie, umanistiche e sociali, i giovani provenienti da contesti migratori, in condizioni di precarietà sociale e disagio psicologico. Secondo gli autori, chi ha entrambi i genitori nati all’estero ha quattro volte più probabilità di sentirsi vicino alla sinistra radicale rispetto ai giovani con entrambi i genitori nati in Francia.
I sostenitori della destra radicale sono piuttosto diplomati con formazioni professionali brevi, lavorano come operai e impiegati, sono soddisfatti del loro lavoro – soprattutto gli uomini – e «mostrano un benessere generale». «In altre parole, il RN [Rassemblement national] attira più di LFI [La France insoumise] i giovani ben integrati, il che contraddice numerosi studi sull’elettorato di questo partito», rivela l’indagine.
I giovani di estrema destra mostrano un livello di soddisfazione personale più elevato, segno di una maggiore integrazione nella società rispetto ai giovani vicini all’estrema sinistra, descrive il rapporto che sottolinea «un primo risultato completamente inedito». «In lavori precedenti, in particolare quello di Yann Algan del 2019 sulle origini del populismo, il voto RN era associato al voto delle classi disagiate. Questo risultato, almeno per la nostra popolazione giovanile, si è completamente invertito”, concludono gli autori. Si tratta di “un dato tanto sorprendente quanto rivelatore delle evoluzioni in atto”, proseguono.
Ciò che colpisce, sottolinea Olivier Galland, «è che la frustrazione sul lavoro non ha alcun effetto sulla radicalità politica; questo controbilancia l’idea secondo cui le lotte sociali sfociano in rivendicazioni politiche». Tra i giovani si sta verificando «una dissociazione, come se la radicalità politica obbedisse ad altri determinanti più identitari e sociali».
La radicalizzazione politica troverebbe quindi la sua origine al di fuori dell’universo professionale. «O in fattori individuali soggettivi, come il disagio psicologico, o in dinamiche propriamente ideologiche e culturali, come dimostra, tra l’altro, l’importanza del paese di origine dei genitori», suggeriscono Yann Algan, Olivier Galland e Marc Lazar. È anche possibile che sia influenzata da forme di socializzazione.
In una società postindustriale caratterizzata da processi di individualizzazione, «le emozioni giocano un ruolo molto più importante nel voto», ancora più del reddito, della classe sociale o del rapporto con il lavoro, concludono gli autori.
(Estratto dalla rassegna stampa estera a cura di eprcomunicazione)