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Mohamed

Storia di Mohamed, musulmano osservante che fa con orgoglio il presepe

Mohamed, detto Mimmo, è musulmano, ma fa il presepe. È libico, ma si appresta a diventare cittadino italiano. Il Taccuino di Guiglia.

Per celebrare il Natale è meglio fare il presepe o addobbare l’albero? Eterna discussione ma, in realtà, l’uno non esclude l’altro, perché “il presepe e l’albero toccano il cuore anche di coloro che non credono”, come ha ricordato Papa Francesco.

Mimmo ha preso alla lettera le parole del Papa. Di più, le ha sublimate, perché Mimmo non è un “non credente”, bensì un musulmano praticante. E nella città di Roma il presepe lui l’ha costruito con la pazienza dell’artigiano e la maestria del cesellatore, per metterlo in bella mostra sulla vetrata della chiostrina all’ingresso del palazzo di cui è portiere nel quartiere Trieste. Naturalmente, l’ha collocato non lontano dall’albero che comunque non può mancare, e che lui stesso ha allestito.

IL PRESEPE DI MOHAMED “MIMMO” DARRAT

Il presepe di Mohamed Darrat, libico di 51 anni che si fa chiamare Mimmo, è l’attrazione natalizia del quartiere. Vengono tutti a vederlo e fotografarlo, ne hanno raccontato i giornali della capitale e ogni anno dei dieci anni consecutivi da quando Mimmo presenta in pubblico la sua creatura, c’è qualcosa di nuovo nell’antico messaggio. Stavolta ci sono più colori e figurano più personaggi accanto alle fontanelle d’acqua vera, alle pale del mulino a vento, ai panni stesi dai balconi, alle luci che si accendono e spengono, insomma a tutto ciò che riporta alla nascita di Gesù bambino nella grotta di Betlemme. E proprio per rispettare la tradizione, il bambinello verrà messo nella mangiatoia il giorno di Natale.

“Nessuno mi ha chiesto di fare il presepe, è stata una mia idea per esprimere la gratitudine che sento da quando, nel 2002, sono arrivato in Italia da Bengasi”, racconta Mimmo-Mohamed.

Lui è laureato in economia e commercio, ma ha lavorato anche come cuoco e meccanico, prima di diventare portiere. Ha quattro sorelle che vivono fra Libia, Turchia e Tunisia e un fratello già a capo dei giudici del suo Paese. Ed è un musulmano che prega cinque volte al giorno, segue i 30 giorni del Ramadan, versa il 2,5% dello stipendio ai bisognosi ed è andato due volte in pellegrinaggio alla Mecca: dunque, rispetta tutti i pilastri della sua religione e conosce il Corano a menadito.

Forse proprio per questo, per il tranquillo orgoglio di credere in quel che si crede, Mimmo è capace di comprendere bene che cosa significa convivere senza timore di dimostrarlo: è musulmano, ma fa il presepe. È libico, ma si appresta a diventare cittadino italiano. “Giurerò in Comune il 5 aprile 2024”, dice con emozione, sorvolando sui sei anni di vergognosa burocrazia che ha dovuto attendere in aggiunta ai dieci da residente in Italia, ossia il già lungo requisito per richiedere la cittadinanza.

Come non pochi suoi connazionali, Mimmo-Mohamed s’è battuto contro Gheddafi (“un dittatore che prima ha cacciato gli italiani e poi gli stessi libici”) e fin da piccolo è cresciuto all’insegna di un valore che oggi ha riacceso col presepe: saper stare insieme. “A Bengasi giocavo con italiani che uscivano dalla grande chiesa in via Torino”, ricorda. “Vedevo le suore camminare, ascoltavo le canzoni di Eros Ramazzotti e di Laura Pausini. E tifavo Milan”.

Come tutti gli arabi è sconvolto per il conflitto in Medio Oriente. “I bambini non si toccano!”, esclama. “Bambini ebrei, bambini palestinesi, senza distinzione. Ma se tu ammazzi padre e madre, come credi che cresceranno quei figli? Sangue chiama sangue. Con l’odio non si costruisce niente di buono”.

Può sorprendere scoprire quanto questo cinquantenne libico e presto italiano, ligio agli insegnamenti dell’Islam e con la voce del muezzin nella suoneria del telefonino, senta il dovere e il piacere di un gesto così bello e nobile, come fare il presepe per il Natale cristiano. Ma nell’epoca dei pregiudizi e delle guerre non solo di religione il presepe di Mohamed è una forma di preghiera per testimoniare che un altro mondo è già realtà.

Pubblicato sul quotidiano Alto Adige
www.federicoguiglia.com

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