Il corso filo europeista della Moldova ha il muso corto della vittoria di Maia Sandu nel ballottaggio per la presidenza della Repubblica contro l’ex procuratore generale Alexandr Stoianoglo. Anche l’ultimo testa a testa ha confermato la difficoltà di affermare una chiara linea pro-occidente e la riconferma della presidente uscente è stata assai meno netta di quanto si immaginava solo qualche settimana fa.
Il risultato quasi definitivo (98% delle schede scrutinate) è tuttavia certo: Sandu ha vinto ottenendo il 54,64% dei voti, Stoianoglo si è fermato al 45,36%. Per tutta la notte i due candidati hanno viaggiato pressoché appaiati e solo l’arrivo dei voti della diaspora ha permesso a Sandu di affondare il colpo di reni vincente. Contando solo i voti espressi dai residenti in Moldova, la vittoria sarebbe andate di ancor più stretta misura all’ex procuratore.
Così è grazie ai voti delle centinaia di migliaia di moldavi residenti all’estero, soprattutto nell’Unione europea, che il progetto europeista della presidente potrà essere portato avanti. Ma all’interno la Moldova resta un Paese diviso, molto restio ad avviare quel processo di dure riforme indispensabile per dare corpo all’obiettivo di ingresso nel club di Bruxelles. Lo testimonia anche il risicato successo del referendum pro-Ue che due settimane fa aveva accompagnato il primo turno elettorale: anche quella una vittoria resa possibile dall’apporto elettorale della diaspora. Se il sì al referendum legittima la scelta europeista della presidente, da un punto di vista strettamente politico non sarà facile per Sandu premere il pedale sull’acceleratore.
Il suo contendente Stoianoglo, supportato peraltro da una massiccia e per nulla nascosta propaganda da parte di Mosca, ha fatto leva sulle incertezze legate alla netta scelta di campo di Sandu e sulla nostalgia di una sorta di neutralità che potesse sfruttare i vantaggi di un doppio forno, quello di Bruxelles e quello di Mosca. Non schierarsi, mantenere buoni rapporti a est e a ovest, prendere da ognuno il meglio per il proprio piccolo Paese. Ai tempi della seconda guerra (più o meno) fredda questa ambiguità diplomatica è probabilmente un’illusione e la neutralità si trasformerebbe in una sorta di destino bielorusso, tanto più che la Moldova è già oggi segnata dalla ferita della Transinistria. Ma questa suggestione, che spinge una metà dell’elettorato a guardare più a Viktor Orban che a Ursula von der Leyen, è un macigno sulla strada della vecchia e nuova presidente.
I tempi sono stretti. Le prossime elezioni parlamentari in estate saranno la nuova sfida politica. Di fatto un anno di campagna elettorale senza fine. Sandu può affrontare i cambiamenti cui aspira solo se riuscirà a difendere la sua attuale maggioranza nell’Assemblea del popolo.
Uno sguardo all’andamento elettorale dei due turni presidenziali può spiegare la pericolosa dinamica che si è messa in moto. Con il 42,45% Sandu aveva già ricevuto il maggior numero di voti tra gli undici candidati al primo turno di votazione. Di per sé un risultato molto buono, ma alla presidente sarebbe servito un successo più ampio nel referendum, che invece ha ottenuto una maggioranza di poche migliaia di voti. Stoianoglo, che correva per il Partito socialista dell’ex presidente filo-moscovita Igor Dodon, aveva ottenuto il 25,98%. Ma è riuscito nel secondo turno a coagulare tutte le forze scettiche o contrarie al progetto europeista della presidente. Fino ai più espliciti esponenti filo-russi. E così il 57enne ex magistrato ha insidiato fino all’ultimo Sandu e oggi può vantarsi di aver ottenuto la maggioranza del voto dei residenti: il 51,19% dei voti. Avrebbe vinto senza il voto della diaspora. Ma la diaspora vive al di fuori dei confini moldavi, e per quanto sia decisiva con le sue rimesse per la tenuta sociale del Paese, è destinata a incidere in maniera minore nel dibattito politico interno.
Così Stoianoglo ha ora gioco facile a giocare la carta istituzionale. Ieri sera si è rivolto ai suoi compatrioti in russo a Chisinau e ha chiesto a tutti di mantenere la calma. “La Moldavia ha bisogno di stabilità e non di un conflitto artificiale”, ha detto, “il tempo dell’odio e della divisione deve finire”. Nella sua regione natale, la Gagauzia, una regione autonoma, ha ottenuto addirittura il 97,04%.
Sullo sfondo resta il sapore amaro di una pesante manipolazione russa, che non promette nulla di buono per i prossimi mesi. Il consigliere per la sicurezza nazionale di Sandu, Stanislav Secrieru, ha accusato la Russia di massicce interferenze elettorali e sulla Piattaforma X aveva avvertito del pericolo di un risultato falsato. Nella regione della Transnistria, staccatasi unilateralmente dalla Moldova e dove sono stanziate le truppe russe, sono stati organizzati illegalmente trasporti di elettori verso le urne. Trasporti organizzati direttamente da Mosca su autobus e voli charter che hanno portato gli elettori nella capitale azera Baku, a Istanbul e nella capitale bielorussa Minsk.
Secrieru ha anche pubblicato un video che circolava sui social network e che mostrava persone che avrebbero tenuto in mano i loro passaporti moldavi su un aereo diretto a Minsk. Il volo era la chiara prova di un’ampia organizzazione di trasporto di elettori, aveva denunciato Secrieru. In precedenza ci si era lamentati del fatto che a Mosca erano aperti solo due seggi elettorali per il voto dei moldavi residenti in Russia.
Se si considerano tutti i tentativi di manipolare il voto operati da Mosca (compreso il massiccio impiego di denaro per corrompere singoli elettori), la vittoria di Sandu assume un diverso spessore. Ma la capacità di penetrazione russa in un Paese ancora fragile e povero è un’ulteriore mina sulla strada già impervia che attende la presidente Sandu. Se l’Ue vuole davvero dare corpo al progetto del nuovo allargamento non può limitarsi a guardare e valutare asetticamente i progressi di Chisinau sulla strada dell’adesione. Deve diventarne parte attiva e misurarsi direttamente con le tentazioni russe.