Skip to content

meloni

Perché Meloni sfida Lo Voi e non solo

Le ultime novità sul caso Almasri fra governo e procura di Roma. La nota di Sacchi.

A dispetto di chi la dipinge, in retroscena un po’ fantasiosi, sopra le righe al punto che le sarebbe stata consigliata prudenza dalla stessa avvocato Giulia Bongiorno, Giorgia Meloni prosegue spedita nella fredda e lucida strategia di ribattere colpo su colpo all’offensiva giudiziaria nei confronti suoi e del nucleo centrale del governo sul caso Almasri.

È la strategia della sfida aperta a una parte “non numerosa” di magistratura che accusa di fare un danno non a lei ma all’Italia e che, vista certa invasione del campo della politica, invita a questo punto a candidarsi in politica: “Se vogliono governare loro, si candidino”. È la sfida che il premier lancia a certe Procure dopo quello che viene apertamente definito “un atto voluto” e non dovuto da parte del procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, con la comunicazione giudiziaria a lei, ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.

Meloni, videocollegata con l’evento “La Ripartenza” organizzato a Milano dal giornalista Nicola Porro, attirandosi le critiche delle opposizioni per non essere invece ancora andata a riferire in parlamento (“Meloni continua a scappare”, ribadisce la segretaria del Pd, Elly Schlein), attacca duramente con la stessa modalità del primo video con cui ha dato la notizia dell’iniziativa giudiziaria. Meloni lancia il suo guanto di sfida alle toghe “politicizzate”, a quei magistrati, “per fortuna pochi”, che “cercano di colpire chi non è politicamente schierato con loro”, invitandoli a candidarsi alle elezioni se la loro intenzione è quella di governare. Prima rivendica i risultati del suo governo su export, calo dello spread e “andamento record” della borsa italiana, frutto di una ritrovata “credibilità” del Paese (“dal ghiaccio dei fiordi fino alla sabbia del deserto, il mondo è tornato a puntare sull’Italia”), poi sferra un duro attacco nei confronti delle toghe che “remano contro” e che disfano la tela del suo operato come faceva Penelope, la mitologica moglie di Ulisse.

Il ‘bersaglio’ del premier è il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi (nella foto), ovvero colui che ha vergato l’avviso di garanzia recapitato a Palazzo Chigi due giorni fa: un atto “chiaramente voluto”, rimarca Meloni perché “tutti sanno che le Procure hanno la loro discrezionalità”. Per il presidente del Consiglio, quella notifica rappresenta “un danno alla Nazione” per il quale non si dà pace: “Mi manda ai matti… A chiunque nei miei panni cadrebbero un po’ le braccia”. “Ieri – racconta – mi ritrovo sulla prima pagina del Financial Times con la notizia che sono stata indagata: se in Italia capiscono cosa sta accadendo, all’estero non è la stessa cosa”.

Meloni punta il dito contro quelle toghe “che vogliono decidere la politica industriale, ambientale, le politiche dell’immigrazione, vogliono decidere come si possa riformare la giustizia… In pratica vogliono governare loro” . “Ma – sottolinea – c’è un problema: se io sbaglio, gli italiani mi mandano a casa; se loro sbagliano, nessuno può fare o dire niente. Nessun potere al mondo in uno Stato democratico funziona così, i contrappesi servono a questo”. Da qui, l’invito che suona come una sfida: “Quando un potere dello Stato pensa di poter fare a meno degli altri, il sistema crolla. Se alcuni giudici vogliono governare, si candidino alle elezioni e governino”.

La premier sostiene di non essere “preoccupata né demoralizzata” dall’indagine, perché “quando ho assunto la guida del governo di questa Nazione sapevo esattamente a cosa sarei andata incontro…”. E conclude il suo intervento facendo appello agli elettori: “Finché ci siete voi ci sono anche io, non intendo mollare di un centimetro almeno fino a quando saprò che la maggioranza degli italiani è con me”. La sua, assicura, è “una battaglia che va oltre destra e sinistra: è la battaglia per un’Italia normale”. Dai vertici di Fdi parte un fuoco di sbarramento sul procuratore Lo Voi per la vicenda relativa all’utilizzo del volo di Stato per i suoi spostamenti. “Lo Voi, in passato, aveva chiesto di utilizzare l’aereo dei servizi segreti per volare da Roma a Palermo e il sottosegretario Mantovano glielo aveva negato per i costi, che ammontano ad almeno 13mila euro. Bisogna fare piena chiarezza su questa situazione imbarazzante”, chiedono i parlamentari di Via della Scrofa. Dura anche Forza Italia con Lo Voi: “Lasci la magistratura, dopo il danno di immagine al Paese”, attacca il presidente dei senatori azzurri Maurizio Gasparri.

Il segretario di Fi, ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani critica l’atto “voluto” di Lo Voi, definito “una scelta che non fa gli interessi dell’Italia”. E difende le scelte dell’esecutivo sul caso Almasri: “Lo hanno liberato i magistrati, non l’Italia. Il governo lo ha espulso e lo ha accompagnato per motivi di sicurezza nel suo Paese. Punto. Mi domando perché la Corte internazionale non lo ha fatto arrestare in un altro Paese”. Tajani ricorda come aveva già fatto Meloni che Almasri era già da alcuni giorni in altri Paesi europei, come la Germania.

Intanto le opposizioni, che hanno bloccato i lavori parlamentari fino al 4 febbraio, continuano a invocare un chiarimento in Aula della premier Meloni: “Verrà qualcuno” del governo a riferire in Parlamento, assicura Tajani, che puntualizza: “Ha già parlato il ministro Piantedosi una volta, tutti lo dimenticano. C’è la conferenza dei capigruppo e deciderà tempi e modi”. Ma un conto è la discussione in parlamento che le opposizioni legittimamente chiedono, altro conto è cavalcare l’iniziativa giudiziaria contro gli avverarsi politici. Come in un vecchio rituale della sinistra da circa trent’anni a questa parte nei confronti di esecutivi di centrodestra o destracento come l’attuale.

Intanto, il leader della Lega, Matteo Salvini, vicepremier e titolare del Mit, di fronte all’archiviazione di un’inchiesta per la quale Armando Siri si dimise da sottosegretario, afferma: “Felice per Armando e per la Lega, altra inchiesta strillata per mesi sui giornali e finita in nulla, altri soldi pubblici sprecati, altro fallimento di una “giustizia” che ha invaso il campo della politica”. Sembra che siano proprio arrivati al pettine i nodi di un certo uso politico della giustizia che ha condizionato la politica negli ultimi trent’anni.

Torna su