Nell’era pugilistica di Joe Biden versus Donald Trump, che ha il suo risvolto “sportivo” anche in Europa (Emmanuel Macron contro Marine Le Pen in Francia, Pedro Sánchez anti Alberto Núñez Feijóo in Spagna, Giorgia Meloni avverso Elly Schlein nella nostra Italia), la democrazia ha perso la sua bussola istituzionale.
Tanto è forte ovunque la contrapposizione fra governo e opposizione, destra e sinistra, maggioranza e minoranza, quanto complicata la sintesi politica e perfino personale in nome dell’interesse nazionale. Quanto appare inattuale, oggi, l’idea che Biden e Trump possano dialogare e collaborare mettendo l’“America first”. Intesa non nel senso isolazionista che gli Stati Uniti debbano venire prima del resto del mondo, bensì dell’altrettanto celebre “right or wrong, my country”, cioè dell’amore per la propria Nazione che dovrebbe sempre accomunare gli sfidanti, a prescindere dalle idee giuste o sbagliate da essi incarnate agli occhi dei cittadini.
Eppure, c’è una via d’uscita alla politica delle male parole e dello scontro permanente, che ha da tempo colpito e indebolito tutti i sistemi parlamentari al di là e al di qua dell’Oceano. L’hanno percorsa e precorsa due protagonisti di una storia che più inconciliabile di così non si può.
L’uno è stato fra i capi storici dei “Tupamaros”, il movimento di guerriglia che ha insanguinato le strade dell’Uruguay nei primi anni Settanta. L’altro è il leader, anche lui storico, del “Partido Colorado”, il partito di centrodestra che ha governato l’Uruguay molto più a lungo (139 anni, e scusate se son pochi) di quanto la Democrazia Cristiana l’abbia fatto in Italia. E che era considerato, questo partito, il nemico principale, naturalmente ricambiato, dei tupamaros. Qui si parla dell’ex “tupa” José Mujica Cordano -detto Pepe- e di Julio María Sanguinetti, “el coloradísimo”.
Non sono, come potrebbe sembrare ai molti che ovviamente non conoscono le vicende del piccolo, ma democraticamente immenso Uruguay, due personaggi qualunque. In tempi diversi sono stati entrambi eletti dal popolo alla presidenza della Repubblica. Il primo, Mujica, nel 2010, dopo aver in precedenza conosciuto 14 anni di dura galera ad opera della dittatura militare, che rappresentò una lugubre parentesi da dimenticare (dal 1973 al 1985) nelle sempre libere e consolidate istituzioni del Paese, che è una Repubblica indipendente e costituzionale dal 1830. Il secondo, Sanguinetti, fu il primo presidente del ritorno alla democrazia nel 1985. Rieletto, dieci anni dopo, per un secondo mandato. Niente di più distante tra Mujica e Sanguinetti, fra il socialista che per la sua esemplare filosofia pauperista (dava lo stipendio presidenziale ai bisognosi e lui stesso viveva e vive dell’essenziale) è diventato un mito universale per tutti i colori del rosso, e il liberale Sanguinetti, acuto e brillante intellettuale latino-americano che scrive anche per l’importante quotidiano spagnolo, “El País”. Il progressista contro il conservatore, irriducibilmente.
Eppure, i due “grandi vecchi” dell’Uruguay -oggi 88 anni a testa- sono da tempo artefici di un pellegrinaggio istituzionale che due anni fa è sfociato in un libro, così tradotto dallo spagnolo: “L’Orizzonte, conversazioni senza rumore tra Sanguinetti e Mujica”. Intervistato dai giornalisti Alejandro Ferreiro e Gabriel Pereyra, il duo che non ti aspetti si confronta su tutto, dalla droga alle privatizzazioni, dalla lotta per la libertà a quella per l’eguaglianza, dalla storia alla geografia di un pianeta che cambia. Non sono le risposte, bensì l’approccio a sorprendere: l’onestà e l’intelligenza con cui i due contendenti ascoltano l’altrui punto di vista ed espongono il proprio. Colpisce persino l’aneddoto testimoniato dagli autori, ossia che in uno dei tanti pomeriggi invernali della conversazione stimolata e raccolta, un giorno di particolare freddo, l’uno abbia aiutato l’altro a mettersi il cappotto mentre, credendo di non essere visti, i due anziani ex presidenti entravano nell’ascensore del giornale per scendere dal piano
dell’intervista appena conclusa. Come se la cortesia post-istituzionale instaurata fra i due fosse diventata anche un gesto spontaneo di non scontata gentilezza. Del resto, che cos’è la politica, se non il tentativo di trovare il bene comune fra le persone?
Ecco, quando scopriremo che Giorgia Meloni aiuterà Elly Schlein a infilarsi il cappotto, o viceversa, avremo ritrovato quel senso perduto e tuttavia supremo del dovere e del piacere istituzionale, che precede la faziosità dei partiti e delle parti. Ma quel giorno -perché quel giorno prima o poi arriverà-, si ricordi che a ispirarlo non furono i duellanti della potente e famosa America del Nord in pieno odio elettorale fra loro, bensì due Signori, in tutti i sensi, della non meno America e non meno fumantina del Sud. Accomunati, i due sudamericani, anche dalla fiera, e da loro sempre rivendicata, origine italiana: “Cordano” per il Pepe rivoluzionario, “Sanguinetti” per il Julio María riformista. I nonni di entrambi venivano dalla Liguria. C’è sempre un po’ di Italia nelle belle storie che rendono il mondo migliore.
(Pubblicato sul quotidiano Alto Adige)
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