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Meloni

Perché Meloni dialoga con Schlein e snobba Conte

Le mosse di Meloni con l’opposizione non corrispondono alla caterva di retroscena giornalistici. Il corsivo di Damato.

I retroscena politici, spesso non si sa se più alimentati o alimentatori dei colpi bassi delle polemiche, ci propongono ogni tanto Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, direttamente o tramite i loro emissari, a passarsi la palla. A fare l’una la stampella dell’altro, o viceversa, come ha detto Matteo Renzi, per esempio, di recente cercando di spiegarsi e di spiegare la partecipazione delle 5 Stelle al rinnovo del Consiglio d’amministrazione della Rai, disertato invece dall’aventiniano Pd di Elly Schlein e dintorni.

Chissà che avrà pensato, e non ha ancora detto Renzi sino al momento in cui scrivo, del vuoto improvvisamente creatosi al vertice del Tg 3 con la nomina improvvisa di Mario Orfeo s direttore di Repubblica. Già si è letto e scritto, d’altronde, di una candidatura pentastellata alla successione, magari scambiabile col ripensamento di Conte sulla presidenza della Rai a Simona Agnes, la figlia del compianto Biagio sostenuta in particolare da Forza Italia con la consulenza, la diplomazia e quant’altro di Gianni Letta, fiduciario della famiglia Berlusconi.

Ma davanti alle quinte lo spettacolo di Meloni e Conte, e loro annessi e connessi, è opposto a quello immaginato o raccontato, ripeto, dai retroscenisti. È appena accaduto, per esempio, che la premier, giustamente consapevole della opportunità, necessità e simili di una linea politica di coesione o solidarietà nazionale – come si diceva una volta – davanti ad emergenze come quelle costituite dalle guerre in corso, si sia consultata per telefono con Elly Schlein, e non con altri esponenti dell’opposizione volenterosamente chiamata al singolare.

Di Conte la premier non è proprio passato per la testa di cercare o farsi cercare il numero di cellulare fino al momento – anche qui – in cui scrivo. E non è – credo -per vendetta sul filo del telefono a quanto della premier e della sua politica estera egli dice in ogni occasione, in Parlamento e fuori, fra i microfoni che lo seguono per le strade che percorre nei dintorni di Montecitorio o nei convegni lontanissimi ai quali è invitato. Una politica estera, secondo Conte, sostanzialmente guerrafondaia, subalterna agli Stati Uniti non più guidati dall’illuminato Donald Trump.

Stare a questo punto a inseguire il consenso del suo pur non diretto predecessore a Palazzo Chigi dev’essere comprensibilmente apparso alla Meloni tempo sprecato. O fornirgli solo l’occasione per vantarsi in qualche dichiarazione o intervista di avere contestato a dovere le scelte del governo, senza neppure fare le distinzioni che forse Matteo Salvini si aspetterebbe dal suo ex alleato, nella loro prima e comune esperienza, rispettivamente, di presidente del Consiglio e vice. Una distinzione che il leader leghista probabilmente cercherà di meritarsi domani a Pontida, visti gli invitati stranieri di estrema destra al raduno del suo partito.

Conte, del resto, non è tipo da fare sconti nelle sue partite, come sta sperimentando sulla sua pelle, e sulla barba cresciutagli a dismisura, il fondatore e garante del MoVimento 5 Stelle Beppe Grillo. Che rischia, nella polemica e nelle diffide ingaggiate con l’avvocato e professore sulla strada della Costituente, o ricostituente, delle 5 Stelle, o come altro dovessero essere chiamate, anche la sua consulenza ben remunerata nel campo della comunicazione. I cui risultati d’altronde Conte potrebbe rinfacciargli, piuttosto che riconoscere i propri errori e limiti ed assumersi la responsabilità addebitatagli da Grillo di avere raccolto nelle elezioni europee di giugno meno voti di Berlusconi da morto col partito forzista di cui è segretario Antonio Tajani.

Sono d’altronde le nuove, ridotte dimensioni del movimento che presiede, più che gli atteggiamenti contestati alla Schlein, specie da quando ha aperto il cosiddetto campo largo a Renzi, a fare apparire Conte un “cespuglio”, come lui stesso ha lamentato, piuttosto che un ancora candidato a Palazzo Chigi se e quando dovesse realizzarsi un’alternativa al centrodestra guidato dalla Meloni.

Di cespugli vigorosi, a dire la verità, si trovano tracce nella storia della cosiddetta prima Repubblica, per esempio con l’arrivo di Giovanni Spadolini e del suo piccolo partito dell’edera alla guida del governo con una Dc dieci volte più forte. Ma era, appunto, la prima Repubblica: preistoria per Conte.

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