Tutto preso anch’io, da vecchio cronista parlamentare, a fare i conti per cercare di capire chi, fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, meritasse la vittoria nel confronto di sei minuti concessi dal regolamento a Montecitorio per il cosiddetto “question time”, sono stato distratto, anzi strattonato dalle immagini televisive di Napoli messa a ferro e a fuoco. E ciò per colpa di qualche centinaio di tifosi tedeschi furenti per non potere assistere ad una partita della loro squadra, e fronteggiati dalla tifoseria locale, più ancora che dalla forza pubblica. Le cui perdite in termini di mezzi incendiati sono state subito addebitate, naturalmente, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Che ormai è diventato un bersaglio facile, direi d’ufficio, dopo essere incorso nell’infortunio di prendersela con le vittime per la strage di migranti a Cutro, pur avendo avuto l’intenzione -ha assicurato- di prendersela con i cosiddetti scafisti.
Vuoi vedere – mi sono chiesto conoscendo certi polli della polemica, aumentati e peggiorati con l’elettronica social, chiamiamola così – che ora qualcuno commenterà lo spettacolo della Napoli devastata accusando i tedeschi di avere vendicato padri e nonni in divisa nazista che fra il 27 e il 30 settembre del 1943 furono costretti da una rivolta di popolo a trattare la resa, cioè il ritiro dalla città prima che vi arrivassero le truppe alleate? Il conteggio dei morti di quelle giornate non è mai stato concorde.
Ebbene, con sollievo ho visto che lo stato emotivo e informativo del nostro Paese non è poi così drammatico come spesso si è tentati di ritenere. Quelle quattro giornate non sono state richiamate o scomodate da nessuno. Meno male.
LO SCONTRO MELONI-SCHLEIN IN PARLAMENTO
Ma – mi chiederete – dello scontro nell’aula di Montecitorio fra una Meloni vestita prevalentemente di nero, per giunta “cingolata” secondo il manifesto, e una Elly Schlein in giacca bianca all’esordio parlamentare di segretaria del Pd che cosa si può dire? Chi ne è uscita meglio o peggio sul piano politico, visto che su quello personale le due antagoniste hanno pareggiato il conto salutandosi amichevolmente all’uscita dall’aula, l’una correndo verso Palazzo Chigi e l’altra verso la buvette della Camera?
Direi la presidente del Consiglio: più che per il merito di quello che ha detto motivando il no al salario minimo proposto dalla nuova leader del Pd, per la prova di compattezza che ha saputo guadagnarsi con gli applausi dalla sua maggioranza. Che un giorno si e l’altro pure finisce sulle prime pagine dei giornali e nei retroscena per i suoi problemi e umori interni. La Schlein invece è stata applaudita solo dai suoi compagni di partito. La leadership dell’opposizione, pur avendo rimproverato al governo “incapacità, approssimazione e insensibilità”, non le è stata riconosciuta dai silenti e immobili grillini, presente in aula lo stesso capo Giuseppe Conte. Eppure lei aveva scelto un loro cavallo di battaglia – il salario minimo, appunto – per scontrarsi con la premier.