Della defezione del gruppo spagnolo di Vox da quello dei Conservatori europei guidato da Giorgia Meloni corrono in parallelo due interpretazioni opposte: quella che la considera come un segno di indebolimento oggettivo e numerico e l’altra che invece la ritiene la liberazione da un movimento di destra molto “identitario” come un viatico. Da un lato c’è infatti il danno di immagine e la possibile perdita del terzo posto nella classifica dei gruppi più consistenti del Parlamento europeo, dall’altro un’utile agevolazione perché il presidente del Consiglio italiano riesca a trovare un accordo con Ursula von der Leyen, a entrare in maggioranza e a chiudere la complessa partita delle trattative post voto europeo per la formazione dei nuovi organismi comunitari.
Questa possibile eterogenesi dei fini ricorda come, in politica e nella vita, vittorie e sconfitte misurate nell’immediato possano risolversi in esiti molto diversi già solo a distanza di qualche giorno o settimana. Ce ne eravamo già accorti con il successo in Sardegna del cosiddetto “campo largo”, che non è servito ad altro che a evidenziare le incompatibilità tra Partito democratico e Movimento 5 stelle; ce ne stiamo accorgendo con il voto europeo che ha confermato il successo politico e personale di Giorgia Meloni ma anche aperto una serie di fibrillazioni sul piano interno. Da allora infatti la Lega ha deciso, per fare fronte al calo di consenso, di accentuare le posizioni controverse e contraddittorie rispetto all’indirizzo della maggioranza, rendendosi così più riconoscibile.
È successo su temi di coscienza come la bioetica e sui temi fondamentali delle riforme istituzionali, dove è molto netta la contrapposizione a Forza Italia. La Lega ha preso a sollevare anche questioni più minute, episodiche, occasionali che però concorrono sempre allo scopo di marcare il territorio, dall’intitolazione dell’aeroporto di Malpensa a Silvio Berlusconi (mossa provocatoria e tutto sommato anche arguta per schiacciare il partito di Antonio Tajani) ai vaccini, andando a solleticare un sentimento di fastidio per la conduzione delle politiche sanitarie che rimanda ai tempi della pandemia da Covid ed è abbastanza trasversale a tutto il centrodestra, tant’è che un quotidiano come la Verità ne ha fatto la sua principale battaglia editoriale, pubblicando quasi tutti i giorni in prima pagina titoli al riguardo. Peraltro la questione ha un indiretto ma non irrilevante collegamento con le vicende europee: ricordiamo che Ursula von der Leyen è di nuovo avviata a guidare la Commissione nonostante siano emersi a suo carico potenziali conflitti di interessi con il settore farmaceutico. Precisiamo a margine che Salvini, in un’intervista odierna, ovviamente assicura che tutte queste considerazioni sono “palle” e che il governo arriverà fino all’ultimo giorno della legislatura.
In sostanza ci possiamo chiedere quanto sia difficile dire, in politica, se si è più forti o meno forti. E scusandoci per il banale gioco di parole chiudiamo sulla vicenda di Chico Forti, che rischia di trasformarsi in un addebito direttamente a carico del presidente Meloni, che ha ricevuto l’imprenditore italiano condannato negli Stati Uniti quando è tornato in Italia. L’estradizione di per sé non aveva creato grosse polemiche ma la scelta di riceverlo all’aeroporto e fare una foto assieme, entrambi sorridenti, è parsa a qualcuno decisamente inopportuna e ora consente a giornali come il Fatto Quotidiano in particolare ma anche al Corriere della Sera di scavare nella vicenda dei comportamenti presunti (e a dire la verità apparentemente improbabili) di Forti durante la sua detenzione in Italia, caricandoli contro il Presidente del consiglio. Un caso nel quale sarebbe stato sicuramente meglio essere… meno Forti.