Anche quest’anno, dunque, a leggere i quirinalisti che se ne sono occupati per fornire le solite anticipazioni, Sergio Mattarella avrebbe deciso di pronunciare in piedi il suo messaggio di Capodanno da trasmettere a reti unificate, pubbliche e private. Così fece l’anno scorso, ma in modo, non scontato stavolta, che le telecamere potessero riprendere anche esterni del Palazzo, come per lasciar capire di non vedere l’ora di completare il trasloco che aveva già avviato in vista della scadenza del mandato settennale. Che è già troppo lungo di suo per aspirare a cuor leggero a replicarlo, cioè a raddoppiarlo, come pure molti, anche per strada, lo sollecitavano ad accettare.
Nonostante i suoi ripetuti dinieghi, pubblici e privati, tutti ci mettemmo ad ascoltare quel discorso di un anno fa, volutamente anche di commiato, per cogliere un qualsiasi elemento che potesse fare sperare in un ripensamento del presidente. Che non arrivò anche perché nel frattempo, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio Mario Draghi si era messo praticamente a disposizione per succedergli, da “nonno a disposizione delle istituzioni”. A quel punto un cambiamento di posizione del capo dello Stato uscente rischiava di apparire ostile all’uomo che pure lo stesso Mattarella aveva chiamato in servizio per guidare un governo dalle molteplici emergenze, anche a costo di prestarsi all’accusa, sospetto e quant’altro di “conticidio” da parte degli estimatori delll’inquilino di Palazzo Chigi imposto dai grillini e subìto prima dalla Lega di Matteo Salvini e poi dal Pd di Nicola Zingaretti. Il quale si era lasciato convincere addirittura da Matteo Renzi -pensate un po’ – ancora iscritto a quel partito a disattendere l’impegno di passare per un turno di elezioni anticipate prima di allearsi col MoVimento 5 Stelle.
Mattarella tuttavia alla fine accettò di essere rieletto, ma solo dopo che glielo aveva chiesto personalmente, direi anche disperatamente, Draghi in persona per il rischio di vedere arrivare al Quirinale chissà chi e chissà come, aggiungendo alle già troppe emergenze con le quali era alle prese il suo governo anche una di carattere istituzionale.
Confermato al suo posto con le buone o le cattive, Mattarella non ha trascorso certamente un anno di riposo. Ed ha raddoppiato, oltre al mandato presidenziale, la sua credibilità all’esterno e all’interno dell’Italia. Quegli interminabili applausi di ringraziamento levatisi verso di lui il 7 dicembre scorso al Teatro della Scala, più lunghi di quelli dell’anno precedente per chiedergli di lasciarsi confermare, sono stati la manifestazione plastica -direi- della centralità che questo presidente della Repubblica ha saputo conquistarsi e meritarsi pur a Costituzione invariata, e con un governo tornato ad essere guidato da un leader, stavolta finalmente anche di genere femminile, votato dagli elettori, prima ancora che selezionato dal capo dello Stato.
Non ha torto Stefano Folli a scrivere oggi su Repubblica di “un semipresidenzialismo di fatto”, pur negato dall’interessato per primo, che con Mattarella si sarebbe creato prima ancora che si riesca -se si riuscirà mai- a crearne uno di diritto. E ad aggiungere che “il 22 è anche l’anno di Mattarella”. Altro che l’anno di Berlusconi celebrato da Giuliano Ferrara sul Foglio con spirito di rivalsa su quanti considerano ormai consumato il quasi trentennio del Cavaliere.