La rubrica periodica “Il mio canto libero” si trasferisce con oggi su questa testata che l’ha accolta. Casuale ma emblematica la coincidenza con l’anniversario della morte di Marco Biagi, che rimane la principale fonte di ispirazione delle considerazioni che sono svolte in questa sede. Da un lato egli è stato straordinariamente premonitore della grande trasformazione dei modi di produrre e lavorare indotta dalle tecnologie digitali. Dall’altro, le resistenze ideologiche di allora sono ancora presenti e manca a molti decisori istituzionali e sociali il coraggio di affrontarle.
Il coraggio intellettuale e civile fu la cifra di Marco Biagi e deve essere l’elemento distintivo di coloro che oggi vogliono onorarlo. Perché ci vuole coraggio per rifiutare l’illusione ottica delle politiche del lavoro meramente difensive in un tempo di cambiamenti continui.
Non si tutela il lavoro con i sussidi passivi o con il finanziamento a prescindere dei centri per l’impiego. Accompagnare i lavoratori nelle transizioni occupazionali obbligate significa mobilitare una pluralità di intermediari capaci di riqualificare ciascuna persona in funzione di una specifica impresa che li vuole reclutare. È finito il tempo dell’incontro meccanico tra domanda e offerta e della formazione a catalogo per profili standard perché la domanda di lavoro è sempre originale. Viviamo peraltro nel tempo della crisi della offerta ( e della difficoltà del reclutamento) a causa del declino demografico, dei fallimenti educativi e formativi, della perdita di senso della fatica e del sacrificio.
Biagi indicava la ripresa dell’ascensore sociale, il rinnovamento dei metodi e dei contenuti pedagogici, il riorientamento della prestazione lavorativa dall’orario agli obiettivi e ai risultati. La stessa risposta ai pericoli sostitutivi del lavoro rappresentata dalla intelligenza artificiale consiste ora in una formazione ancor più integrale e nel coinvolgimento dei lavoratori nella vita delle imprese.
I salari non possono più essere decisi centralisticamente ma devono riflettere la produttività, la professionalità, la scomodità, il costo della vita. Solo i contratti territoriali, aziendali e individuali possono riconoscere il valore del lavoro nelle concrete circostanze in cui si realizza offrendo così motivazioni adeguate alle troppe persone tentate dalla inattività assistita e dalle attività minime.
Di tutto ciò parleremo in questa rubrica per promuovere una società attiva e inclusiva, liberata da vecchie ideologie e da corpi sociali autoreferenziali. Seguiremo le dinamiche in corso nelle associazioni di tutela e rappresentanza affinché prevalga sempre il servizio agli associati sulla difesa di ruolo delle burocrazie e sul politicismo dei gruppi dirigenti.
Maurizio Sacconi