E su Trump Matteo Salvini, il segretario federale della Lega, vicepremier, ministro di Infrastrutture-Trasporti, il leader più sbeffeggiato da una sinistra che a differenza di quella Usa, con la perdente Kamala Harris in prima fila ad ammonire i suoi per una transizione collaborativa, non accetta la sconfitta, si prende la sua rivincita.
“Matteo”, l’uomo che ha salvato la Lega ma dato dalla narrazione mediatica mainstream tutta di sinistra sul viale del tramonto praticamente dal giorno del suo arrivo alla plancia di comando di Via Bellerio, ormai più di 10 anni fa, la rivincita se la prende anche nel centrodestra. In quella coalizione che, pur avendo fatto e continuando a fare sempre dell’unità il decisivo tratto distintivo vincente rispetto alla sinistra, ormai sottovoce veniva dato fisso in ultima posizione dopo FdI e il FI dopo sorpasso alle Europee, dopo gli anni d’oro in cui fece da traino al centrodestra e espugnò storici fortini rossi come l’Umbria, che si appresta secondo i sondaggi a confermare con alla guida la governatrice leghista Donatella Tesei il 17 e 18 novembre.
E invece “Matteo”, ritenuto un po’ una sorta di ragazzo discolo della compagine governativa dominata da una premier molto abile in politica estera, sempre più in una versione da centro istituzionale, e dal compassato ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, l’altro vicepremier, quel “Matteo” criticato sottovoce anche un po’ all’interno della maggioranza per essere scivolato troppo verso la destra “patriottica” europea e che forse anche agli alleati avrebbe dato minore fastidio se fosse sceso sotto una soglia di nostalgica memoria da partito delle origini limitato al Nord, ora è il leader che più ha scommesso sulla storica rimonta di Donald Trump.
Meloni e Tajani di fatto lo inseguono nelle felicitazioni al nuovo-vecchio inquilino della Casa Bianca. Salvini è il leader, l’unico, come lui legittimamente rivendica, ad aver creduto per primo con più lungimiranza degli altri nel fatto che l’era del presidente eletto degli Stati Uniti, già presidente Usa, non fosse affatto conclusa. È raggiante alla Camera dove va nel pomeriggio per un question time con una cravatta rosso repubblicano americano. E dalla mattina sottolinea le tre questioni sulle quali Trump ha vinto: la lotta all’immigrazione clandestina, la riduzione delle tasse, la battaglia contro i processi politici per eliminare l’avversario.
“Matteo” pensa al suo, a quello di Palermo Open Arms, dove ammonisce – di fatto ricordandolo anche ad alleati che forse avrebbe voluto vedere più calorosi con lui – che rischia 6 anni di galera per aver difeso i confini nazionali, impegno sul quale invece Trump ha vinto. Ma è chiaro già da ora che la sentenza attesa a Palermo per il 20 dicembre non è affatto una questione personale di Salvini. Ma una vicenda che riguarda l’intera coalizione di governo e il suo destino.