“C’è qualcuno che aggredisce e qualcuno che viene aggredito, c’è Putin che ha aggredito e c’è Zelensky che si sta difendendo. Chi aggredisce ha torto, chi è aggredito ha ragione. Lo devo ribadire, visto che c’è questo stucchevole dibattito sulle parole, sugli aggettivi che uso, sennò c’è Repubblica che ti conta quanti aggettivi ho usato”.
Matteo Salvini, il giorno dopo l’approvazione quasi unanime del parlamento della risoluzione sull’Ucraina, che ha visto compatto il fronte della maggioranza di governo, di cui la Lega di Salvini è uno dei maggiori azionisti, e dell’opposizione rappresentata da Giorgia Meloni, presidente di FdI, in una conferenza stampa alla Camera smentisce con nettezza una certa narrazione anche mediatica a sinistra che, nonostante il voto leghista, continua a fargli esami di putinismo.
Il leader della Lega, illustrando un sondaggio del professor Enzo Risso, secondo il quale l’89 per cento degli italiani è per il negoziato, per la pace, conferma la giustezza del voto favorevole anche all’invio delle armi, “perché, anche se non sono quasi mai la soluzione, bisogna permettere a un popolo sotto attacco di difendersi con tutti i mezzi necessari”. Ma rilancia a tutto campo la necessità del negoziato, fino alla proposta di una marcia di pace, che lo potrebbe vedere anche in Ucraina (ovviamente cosa tutta da valutare, soprattutto con l’ambasciata) in cui “combattenti della pace si frappongano tra l’Ucraina e le bombe”. Negoziato per la pace che abbia “nelle parole del Santo padre la stella polare”.
Quanto agli equilibri politici di casa nostra, Salvini attacca una narrazione da sinistra che tende “per beghe interne” a metterlo in una parte che respinge. Sullo sfondo il tentativo di metterlo in contrasto con Meloni accentuando sul piano mediatico una “svolta” atlantista di FdI che in realtà aveva già queste posizioni. Di fatto il centrodestra di governo (Lega e Forza Italia) e di opposizione (FdI) hanno manifestato le stesse posizioni.
Pur mettendo in risalto vari aspetti. Salvini, che, tra l’altro, il New York Times inserisce in un articolo tra gli esponenti della destra europea che nel corso degli anni sono stati “sostenitori di Putin”, contrattacca. E facendo riferimento all’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega ribatte: “Non ho mai preso rubli, dollari, franchi svizzeri: zero. C’è un’inchiesta da anni che non ha mai trovato niente: perché non c’è niente. L’ultima volta che andai a Mosca portai a casa Masha e Orso per mia figlia, pagando ai Magazzini Gum”. Prosegue: “Poi, ho smesso di andarci perché ogni volta che andavo aprivano un’inchiesta. Mentre tutti, da Prodi a Renzi e Letta, quando erano al governo, hanno avuto contatti con la Russia e con Putin, giustamente”.
Piuttosto, rispondendo a una domanda, mette l’accento su un aspetto che riguarda i Cinque Stelle, ovvero gli alleati del cosiddetto “campo largo” del Pd: il voto contrario, quello che spicca di più nella galassia grillina e ex grillina dissenziente alla risoluzione è del presidente della commissione Esteri del Senato, il pentastellato Vito Petrocelli. È un voto “imbarazzante”, secondo Salvini, che sui voti contrari di tre deputati leghisti parla di “libertà di pensiero lasciata su un tema come la guerra”.
Ma il voto di Petrocelli “è imbarazzante per il ruolo che occupa, perché si tratta di portare la voce di una commissione di cui non condividi la linea in contesti stranieri”, sottolinea il leader leghista. Che però precisa: “Ma non entro in casa dei Cinque Stelle ed è una questione che riguarda loro”. Per obiettività, come dice sottovoce qualche osservatore esterno delle cose del ” Palazzo”, forse sarebbe il caso di immaginare che tipo di dibattito ci sarebbe stato se quel presidente di commissione Esteri a Palazzo Madama fosse stato leghista.
Ma è ora la revisione del catasto a creare nuove fibrillazioni nel governo, alle prese con la protesta di Lega e Forza Italia contro l’ipotesi di nuove tasse.