Marco Bucci, il sindaco di Genova che guida il centrodestra nelle elezioni regionali anticipate seguite alla caduta di Giovanni Toti dopo una lunga detenzione domiciliare, deve avere tirato un sospiro di sollievo per il no di Giuseppe Conte, subìto dal Pd, alla partecipazione dei renziani al campo largo del cosiddetto centrosinistra. Ora oggettivamente meno largo, anche se Matteo Renzi si è limitato a dichiararsi “fuori dalla campagna elettorale”, sapendo che non per questo potrà materialmente, politicamente giuridicamente tenere fuori dai seggi elettorali di fine mese gli elettori, pochi o molti che siano, della sua Italia Viva. Che nelle elezioni politiche di due anni fa prese, insieme con Azione di Carlo Calenda nel cosiddetto terzo polo, quasi il 7 e mezzo per cento dei voti.
Per quanto pochi, i voti renziani per ritorsione contro il trattamento ricevuto insieme da Conte e dal Pd, e dal candidato alla presidenza della regione ligure Andrea Orlando, potrebbero risultare decisivi a favore di Bucci. Che lo sa benissimo e si è subito attivato per attirarli, neppure dietro le quinte, sapendo che aveva già potuto contarvi nella seconda elezione a sindaco, nel 2022, quando già Renzi si era messo in proprio uscendo nel 2019 dal Pd.
Il corteggiamento ora ancora più possibile dei voti dei renziani frustrati dal trattamento ricevuto dalla sinistra, dove già molti di loro forse si erano trovati a disagio nei pochi mesi trascorsi dalla decisione del loro leader di affacciarsi, diciamo così, al campo largo dell’alternativa, serve a Bucci anche per fronteggiare i danni in qualche modo procuratigli sul versante del centrodestra da Giovanni Toti patteggiando con la Procura di Genova per “corruzione impropria” due anni e un mese di lavori socialmente utili, altrettanti di interdizione dai pubblici uffici e la confisca di 84 mila euro e rotti di finanziamento elettorale ricevuto da privati. Cui se ne potrebbero aggiungere altri per accertamenti eseguiti dagli inquirenti dopo gli accordi con l’accusa da sottoporre all’esame del giudice.
Una mano a Bucci, dichiaratamente sorpreso – non credo con soddisfazione – dalla decisione di Toti di patteggiare, piuttosto che lasciarsi processare secondo le iniziali reazioni al suo arresto, ha appena cercato di dargliela il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Che in un’intervista al Giornale, dedicata anche ad altri temi, si è chiesto proprio a proposito di Toti e della sua rinuncia al processo, “perché i magistrati abbiano accettato un patteggiamento su un reato minore, dopo anni di intercettazioni – complesse e temo assai costose – che ritengo siano state chieste e autorizzate per reati ben più gravi”. Una domanda, quella di Nordio, doppia di valore per il suo ruolo attuale di ministro della Giustizia e passato di magistrato d’accusa.
Per quanto ora edulcorato, ripeto, da un intervento così autorevole come quello di Nordio, il patteggiamento di Toti è pesato e pesa sulla campagna elettorale di Bucci, non foss’altro per gli spunti polemici offerti all’antagonista del sindaco di Genova, Orlando, già ministro della Giustizia pure lui. Spunti polemici dai quali Bucci era stato in qualche modo protetto, al momento della candidatura, dal segretario di Forza Italia Antonio Tajani. Che aveva parlato in una intervista in redazione al Secolo XIX ligure di un’”era Toti” ormai alle spalle. Tanto alle spalle da fare ritenere forse improbabile, anche dopo l’esaurimento dell’interdizione dai pubblici uffici patteggiata con l’accusa, un ritorno alla politica dell’ex governatore. Che non a caso è già tornato alla sua professione giornalistica come assiduo editorialista, almeno per ora, del Giornale delle famiglie Angelucci e Berlusconi, in ordine sia alfabetico sia di partecipazione alla proprietà del quotidiano fondato 50 anni fa da Indro Montanelli.