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Perché Mattarella ha dato l’ok alle prime mosse del governo Meloni

Cosa ha fatto e cosa non ha fatto il presidente della Repubblica, Mattarella, dopo le prime mosse del governo Meloni. I Graffi di Damato

 

Vista la premura avuta, in vista della seduta del Consiglio dei Ministri, di ammonire a non abbassare la guardia nella lotta al Covid – sia che si concepisca di destra la pandemia, riguardosa quindi verso il governo di Giorgia Meloni, sia che la si concepisca di sinistra, pronta quindi alla recrudescenza per metterlo nei guai e forse anche abbatterlo – qualcuno si sarà stupito della rapidità con la quale Sergio Mattarella ha controfirmato tutte le misure trasmessegli da Palazzo Chigi. E ciò anche a costo di deludere giuristi di una certa autorevolezza prontamente espostisi con dubbi sull’urgenza invocata dal governo ricorrendo allo strumento del decreto legge.

Certo, sarebbe stato clamoroso se il presidente della Repubblica, anche dopo la cordialità manifestata a Gorgia Meloni nella cerimonia del giuramento suo e dei ministri al Quirinale, avesse obbiettato qualcosa tornando in qualche modo sulla prudenza consigliata in materia sanitaria. Ma proprio per questo, cioè per il clamore politico che avrebbe provocato, e non per un’altra carineria verso la prima donna arrivata alla guida del governo nella storia d’Italia, Mattarella dev’essersi sottratto alla tentazione di uno strappo, se davvero avvertita.

Del resto, con avvedutezza tutta politica maturata anche sbagliando, come le capitò cinque anni fa unendosi all’allora capo grillino Luigi Di Maio nella minaccia di un impeachment di Mattarella per avere rifiutato la nomina di Paola Savona a ministro dell’Economia nel primo governo Conte, cui pure lei era interessata solo come oppositrice; con avvedutezza tutta politica, dicevo, la Meloni si era già preoccupata di alleggerire le misure predisposte per svoltare nel contrasto al Covid. In particolare, aveva rinunciato a a sollevare dall’obbligo della mascherina la frequentazione degli ospedali e delle residenze assistenziali sanitarie. Anche questo probabilmente ha contribuito a ridurre le presunte o prevedibili resistenze del Quirinale.

Una certa astuzia la Meloni l’ha avuta anche abbinando l’intervento sul contrasto al Covid, e quello contro i raduni illegali, alle norme sul cosiddetto carcere ostativo. Che sono di una urgenza incontrovertibile, dovendosi occupare di questa materia la Corte Costituzionale fra qualche giorno, dopo avere più volte sospeso una sua decisione, con le forbici in mano rispetto alle disposizioni in vigore sino all’altro ieri sui detenuti mafiosi. E ciò per rispettare le competenze legislative del Parlamento, dove le norme riscritte dal governo dovranno essere convertite, cioè ratificate o modificate, entro i 60 giorni stabiliti dalla Costituzione.

A consigliare a Mattarella il via libera a tutte le misure adottate dal governo può avere infine contribuito la consapevolezza, subito avvertita da uno con la sua esperienza, di una certa fluidità della maggioranza, particolarmente tra i forzisti di Silvio Berlusconi, di fronte alle decisioni governative più contestate dalle opposizioni. Che potrebbero pertanto riceverne un aiuto nel passaggio parlamentare della conversione non dico per sopprimerle, ma almeno per cambiarle.

Certo, conoscendone ormai tutti anche la capacità di essere ironico, come lui stesso una volta si compiacque con una scolaresca in visita al Quirinale durante il suo primo mandato, Mattarella avrà sorriso pure lui della possibilità, accennata all’inizio, che potremmo avere di scoprire, nella vicenda apertasi con le decisioni del Consiglio dei Ministri, il colore politico di questo maledetto Covid, e varianti. Se la pandemia dovesse riprendere sarà un affare politico per le opposizioni, imbrattandosi anch’essa del rosso della sinistra. Se, al contrario, non dovesse sorprenderci con una recrudescenza anche la pandemia, salvando praticamente il governo, sarebbe imbrattata del nero col quale si sta cercando di dipingere, sempre da sinistra, il destra-centro subentrato al centrodestra. Che però, a dire il vero, si era anch’esso guadagnato il nero, da parte della sinistra e dintorni, alle elezioni e all’esordio a Palazzo Chigi, nel lontano 1994, di Silvio Berlusconi “sdoganatore” – si gridò – di fascisti, parafascisti e simili.

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