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La lezione del 4 novembre

Non c’è stata retorica ma realismo nelle parole del presidente Mattarella, quando, nel celebrare il 4 novembre, ha ricordato “i nuovi conflitti affacciati in Europa e nel Mediterraneo” e “il pericolo di allargamento del sanguinoso conflitto scatenato dall’aggressione della Federazione Russa”. Il taccuino di Guiglia.

È cambiato tutto dal 4 novembre 1918, quando “i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”, come annunciava il celebre bollettino della Vittoria del generale Armando Diaz.

Si concludeva una devastante guerra di trincea per tutti in Europa, che storicamente portava alla fine di ben quattro imperi (il tedesco, l’austro-ungarico, l’ottomano e il disfacimento di quello russo), e al coronamento del sogno risorgimentale dell’unità d’Italia.

Centosette anni dopo, nessuno s’azzarderebbe a rivendicare, tantomeno a cannonate, Trento, Trieste e il confine del Brennero, cioè l’esito di quel conflitto. Nessun “nemico” austriaco, né di qualsivoglia altra nazionalità, s’intravede all’orizzonte. Vediamo solo -e ci vedono- amici e alleati.

Gli europei hanno, anzi, abbiamo imparato tutti la tragica lezione non di una, bensì di due guerre mondiali. E dalle rovine del 1945 abbiamo costruito il fortino della pace: si chiama Unione europea.

Basta tedeschi contro francesi, inglesi contro spagnoli, austriaci contro italiani e il tutti contro tutti che per secoli, ben prima del Novecento, il secolo delle guerre più sconvolgenti, insanguinarono il continente.

Che bel fortino abbiamo edificato. Inespugnabile, speravamo.

Ma il 4 novembre, giornata dell’unità nazionale e delle Forze Armate, com’è stato battezzato dalla legge anche se non più ripristinato come giorno di festa qual è stato per decenni e meriterebbe di tornare a essere per quello che di profondo rappresenta, non è più soltanto un anniversario della memoria. Non è più solo il momento per essere riconoscenti -come le Istituzioni lo sono state-, per chi ha sacrificato la vita per l’Italia, e continua a farlo nelle missioni di pace all’estero.

Caduti per la Patria allora, anche per la pace oggi.

Purtroppo la guerra che Vladimir Putin ha iniziato nel 2022 in Ucraina rimbomba alla frontiera del fortino. Ci rivela che la libertà dalla guerra non è un valore acquisito per sempre. Ci dice che non basta che 27 Paesi facciano Unione e con la Gran Bretagna si assicurino da ottant’anni che mai più avranno tentazioni guerrafondaie tra loro. Che succede, se quelle tentazioni da noi sepolte, rivivono in altri a due tiri di missili dal fortino?

Che succede se scopriamo che l’occidentale aspirazione alla pace in realtà non è da tutti accolta né percepita allo stesso modo?

Non c’è retorica, allora, ma realismo nelle parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando, nel celebrare il 4 novembre, ricorda “i nuovi conflitti affacciati in Europa e nel Mediterraneo” e “il pericolo di allargamento del sanguinoso conflitto scatenato dall’aggressione della Federazione Russa”. Ed esorta a creare “una comune forza di difesa europea, che in stretta cooperazione con l’Alleanza Atlantica, sia strumento di sicurezza per l’Italia e per l’Europa”.

La difesa del fortino della pace è un prioritario interesse nazionale.

È il nostro futuro della memoria, il 4 novembre 2025.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
www.federicoguiglia.com

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