La caoticità fisica del mare sembra riverberata anche sulla terraferma. Assistiamo infatti alla frammentazione mondiale in un sistema “multipolare”, caratterizzato dall’irregolare riacuirsi di “frizioni di faglia” tra comunità diverse: per credo religioso, convinzioni politiche, sistemi economici, cambiamenti climatici, retaggi culturali, etnie o appartenenza clanica.
Interrelazione tra aspetti politico-istituzionali, socio-culturali ed economico-finanziari, su cui gravano trasversalmente cause e effetti di una diffusa instabilità che interessa numerose aree del mondo, in misura più o meno marcata o turbolenta e con diversi focolai di tensioni o crisi su cui però, con sempre maggiore autorevolezza, si stanno riaffacciando potenze statuali: un nuovo trend impossibile da trascurare e con cui, con ogni probabilità, dovremo confrontarci per diversi anni a venire in uno scenario sempre più caratterizzato dal confronto tra potenze statuali.
Rileggendo il concetto di “parametratura geografica” a noi familiare, nel campo delle relazioni tematiche tra cause ed effetti, tra sintomi e patologie, tra dinamiche locali e nessi regionali e trans-regionali, nel dominio marittimo sono evidenti seppur “ibride” nella propria natura, quelle minacce che spesso invece risultano sfumate, sfuggevoli e mutevoli.
Con un focus sulle possibili frizioni e criticità a declinazione marittima, possiamo notare la dimensione globale di tematiche trasversali che hanno nel mare l’elemento di sintesi e di attuazione. Ci riferiamo:
alla corsa all’artico: dove la diminuzione dei ghiacciai perenni ha motivato una corsa verso le risorse naturali ed energetiche una volta non disponibili da parte degli stati artici e non aprendo nuove possibili vie di comunicazione marittime;
al nuovo GIUK GAP: attese le politiche assertive delle Russia e la rinnovata attività subacquea nell’area del Greenland, Iceland e United Kingdom (appunto GIUK), ha suscitato rinnovata attenzione della NATO, motivando una maggiore presenza di unità dell’Alleanza in area;
al paradigma coreano: dove l’alternanza tra rivendicazioni territoriali e dichiarazioni distensive vedono proprio sul mare il teatro di confronto tra le due Coree e gli altri attori regionali presenti;
alla nine dash line: incentrata sulle rivendicazioni territoriali nel mar Cinese Meridionale della Cina attraverso la trasformazione e la costruzione di isole artificiali da atolli nelle isole SPARTLY E PARACEL;
la pirateria latente: in Oceano Indiano e Corno d’Africa, fenomeno contenuto grazie all’azione internazionale in mare e in Somalia, ma non totalmente debellato;
il golfo delle frizioni: cioè il Golfo di Guinea, hub energetico strategico per l’Europa e l’Italia, interessato da fenomeni crescenti di pirateria, crimine organizzato in mare e sfruttamento irregolare della pesca;
la rotta caraibica del narco traffico: punto di partenza di ingenti carichi di stupefacenti verso l’Africa sub sahariana per il successivo smercio verso l’Europa;
la territorializzazione del Mediterraneo: fenomeno che vede la progressiva “erosione” dell’alto mare a favore di un uso sempre più esclusivo delle risorse marine da parte degli stati rivieraschi.
Queste “frizioni marittime” aprono scenari di tensione non più confinati in specifiche aree geografiche o limitate al contrasto ad attività illegali o terroristiche ma aprono il confronto tra attori statuali che, in nome di interpretazioni assertive e talvolta capziose del diritto internazionale, avanzano pretese unilaterali ritenute legittime.
Questa nuova frontiera delle relazioni internazionali, del diritto del mare e dello sviluppo tecnologico richiedono un approccio sistemico e trasversale alla realtà mare, capace di identificare le minacce e proteggere gli interessi nazionali con un approccio proattivo e dinamico non vincolato da limiti geografici pre-determinati, secondo un errato principio: “lontano uguale poco importante”.