Dalla conferenza stampa di oggi la diagnosi di Mario Draghi è emersa con chiarezza: “Senza una urgente e piena presa d’atto della sua crisi, l’Europa è destinata ad una lenta agonia”.
Alcune evidenze empiriche lo dimostrano inequivocabilmente. Basti pensare che negli ultimi quindici anni negli Stati Uniti il reddito delle famiglie è raddoppiato, ben diversamente da quanto accaduto nell’Unione europea. Su questo aspetto Draghi aggiunto un dato significativo: la crescita americana è tutta concentrata nel comparto high tech. A tal proposito Mario Draghi ha fortemente criticato la iper-regolamentazione della legislazione europea in materia di digitalizzazione, citando in particolare l’esempio dei provvedimenti adottati per l’Intelligenza artificiale, che a suo parere penalizzano le imprese e le startup del nostro continente. In effetti, le migliori aziende e i talenti emigrano spesso fuori dall’Europa, in larga parte negli Stati Uniti.
Per inciso, la critica all’AI Act dell’Unione europea è un tema su cui anche Startmag aveva accesso i riflettori.
Un altro aspetto importante della crisi europea su cui Mario Draghi si è concentrato è largamente noto: l’Unione europea è sostanzialmente indifesa. Mentre sino a cinque anni fa si pensava “che tutti i paesi fossero amici”, ha dichiarato Draghi, è evidente che le minacce esistono e che non siamo attrezzati per difenderci sul piano militare.
Per Draghi, inoltre, uno dei fattori più gravi è il calo demografico, che con gli attuali flussi migratori non saremo in grado di colmare.
Per quanto riguarda, invece, la terapia per il recupero della competitività, il rapporto dell’ex presidente della Bce individua alcune priorità su cui i leader politici europei dovrebbero riflettere con grande attenzione. In questa sede mi limito ad indicare tre elementi che mi sono apparsi particolarmente significativi.
Il primo aspetto riguarda il mondo del lavoro. Innanzitutto Draghi ha chiarito che la grande sfida è tecnologica. Pertanto per aumentare la produttività non serve né ridurre il costo del lavoro, né maggiore flessibilità. Il tema centrale sono le skills. Servono manodopera qualificata, continui aggiornamenti in azienda e nel territorio nonché un sistema formativo atto a far crescere la professionalità e a stimolare l’innovazione.
Il secondo aspetto è che l’Europa sappia rivedere l’insieme delle sue politiche commerciali – e le importazioni in particolare – per evitare la dipendenza da paesi come la Russia e la Cina in settori strategici quali l’energia, l’universo digitale e/o le tecnologie avanzate e duali.
A questo proposito, Draghi ha citato un caso significativo: per alcune settimane il blocco del canale di Suez per gli attacchi dei miliziani houthi yemeniti alle navi mercantili ha prodotto il blocco delle attività produttive di alcune aziende europee che operano nel campo delle energie rinnovabili.
Il terzo aspetto riguarda la necessità di allineare le diverse politiche settoriali della Ue che spesso si contraddicono. La coerenza delle politiche è essenziale perché l’Unione europea diventi un vero attore politico nel mondo globale in cui stiamo vivendo.
Queste priorità comportano anche una revisione complessiva degli strumenti complessivi di cui la Ue dispone.
In campo regolatorio occorre che le misure europee in materia di antitrust si muovano in un orizzonte europeo e non più nazionale, e che anzi tengano conto della competizione globale. In passato l’Europa ha bocciato alcune fusioni tra aziende per timore di concentrazioni monopolistiche nel mercato unico. Oggi è diverso. Mario Draghi ha risposto ad una specifica giornalista su questo tema prospettando in astratto un’eventualità: di fronte ad un’ipotetica concorrenza della Cina nel settore dell’alta velocità ferroviaria probabilmente alcune fusioni tra aziende europee sarebbero utili.
Per quanto riguarda gli strumenti la creazione di nuovi asset europei di debito comune, saranno necessari per finanziare le politiche pubbliche e gli incentivi alle imprese private, ma anche per rafforzare la posizione dell’Europa nel mercato globale dei capitali.
Sul piano della governance occorre, infine, in nome dell’autonomia strategica, allargare i campi in cui le decisioni della Ue si possano prendere a maggioranza. Qualora questo non fosse possibile Draghi ha suggerito di procedere con una “coalition of the willing“, ovvero con accordi intergovernativi tra gli stati membri che intendono perseguire politiche comuni in Europa nei settori più rilevanti.
Sin qui il rapporto Draghi è indubbiamente di grande interesse perché fondato su proposte che nascono all’insegna di una grande razionalità e su informazioni assai solide e ben documentate.
A questo punto, l’interrogativo che si pone è il seguente: come trasformare le proposte di Draghi in politica, un campo in cui le considerazioni razionali hanno un peso relativo rispetto alle passioni, alle dinamiche di potere tra i partiti e le fazioni, agli umori du’ popolo, per dirla con Niccolò Machiavelli. È estremamente difficile tradurre le idee in Draghi in politica, ma nei panni di Giorgia Meloni ci proverei, anche per affermare insieme a Ursula von der Leyen una leadership europea a cui i suoi amici/rivali (Marine Le Pen e Viktor Orban) non possono aspirare.