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Giorgetti

Come Draghi asfalta soavemente contiani e contismo

Parole, mosse e nomine del presidente del Consiglio, Mario Draghi, viste dal notista politico Francesco Damato.

 

Ciò che dovrebbero fare i magistrati – parlare per atti – e invece non fanno scambiandosi messaggi più o meno cifrati, sta dimostrando di volere e saper fare il presidente del Consiglio Mario Draghi. Il quale, anziché inseguire o rintuzzare quanti gli contestano, per esempio, di avere preso il posto di Giuseppe Conte solo per imitarlo, prepara le sue decisioni di cosiddetta discontinuità in silenzio e le annuncia solo quando le adotta. Parla insomma per atti.

Così egli fece con Domenico Arcuri rimuovendolo da commissario straordinario per l’emergenza pandemica e sostituendolo col generale degli alpini Francesco Paolo Figliuolo e così ha appena fatto rimuovendo il prefetto, generale e non so cos’altro Gennaro Vecchione dal vertice dei servizi segreti -o più precisamente dal Dis, acronimo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza- e sostituendolo con l’ambasciatrice Elisabetta Belloni.

L’idea di provocare “l’ira di Conte” o di dargli “uno schiaffo”, come ha titolato a torto o a ragione qualche giornale, non ha minimamente trattenuto il presidente del Consiglio. Che si è preoccupato solo di assicurarsi il consenso del capo dello Stato e di informare il presidente del comitato parlamentare per la sicurezza. Né lo ha trattenuto la paura del prevedibilissimo racconto del Fatto Quotidiano, il giornale custode, diciamo così, della buona memoria del precedente governo Conte. Che in prima pagina – senza spararla, debbo riconoscerlo, più di tanto, limitandosi ad un richiamino – ha scritto di “favore ai 2 Matteo”, intesi come Salvini e Renzi, ma propendendo più per una “vittoria della Lega” che di Italia Viva. E. in più, ha lamentato che al Dis “Mancini resta e Vecchione salta”, pur essendogli stato rinnovato l’incarico nello scorso mese di novembre per altri due anni.

Questa storia di Mancini che resta, con le sue funzioni che non sono certamente di un semplice 007, dev’essere risultata particolarmente indigesta a quanti hanno gridato allo scandalo per quel filmato diffuso da Report, su Rai 3, dello stesso Mancini a colloquio con Renzi nel piazzale di un’Autogrill sotto Natale, non certo per consegnarli una scatola di biscotti, come ha cercato di spiegare l’ex presidente del Consiglio. Che ha minimizzato, diciamo così, la circostanza che in quei giorni egli fosse alle prese con l’ancora presidente del Consiglio Conte anche per come gestiva direttamente, senza delegare niente a nessuno, proprio i servizi segreti.

Il fatto è, questa volta al minuscolo lasciando la maiuscola all’omonimo giornale, che il Marco Mancini in così buoni rapporti con Renzi, sfortunatamente ripresi entrambi da un’attrezzata spettatrice di Report costretta ad una sosta dai bisogni fisiologici del padre, non sembra proprio un agente infedele al capo del governo di turno. Eh no, se uno che di servizi s’intende come Carlo Bonini ha appena rimproverato su Repubblica all’ex presidente del Consiglio di avere perduto tempo proprio appresso a Mancini. Così almeno ho capito – e se ho capito male, mi scuso subito con entrambi – leggendo a commento del cambio di guardia appena deciso al Dis che questo è “il momento in cui il Mediterraneo torna ed essere l’epicentro di imprevedibili nuovi rapporti di forza e il nostro Paese è chiamato a recuperare il tempo perduto negli anni in cui, a Palazzo Chigi, si è perso più tempo a dare udienza a Marco Mancini, a dare la caccia alle “infedeltà politiche” negli apparati, piuttosto che ad occuparsi di cosa diavolo avessero in mente Vladimir Putin e Recep Tyyp Erdogan sulla Libia”. E meno male -aggiungo, sempre che abbia capito bene- che il momento è arrivato e Draghi non se l’è lasciato scappare

Non ha avuto probabilmente torto Massimo Franco a scrivere sul Corriere della Sera, sempre a commento dell’avvicendamento deciso al vertice dei servizi segreti, che “chi continua a teorizzare la continuità fra l’attuale governo e quello presieduto da Conte da ieri faticherà un po’ di più”. Ma temo che faticheranno non meno quanti ancora nel Pd, più in particolare da Enrico Letta a Goffredo Bettini, continuano a scommettere sulla stabilità, affidabilità e quant’altro dei rapporti col movimento grillino perché finito nelle mani sicure di Conte. Che mi sembrano invece ogni giorno meno sicure, e non solo per le vertenze giudiziarie o d’altro tipo con Davide Casaleggio e la sua associazione. Il cui maggiore o più ambito patrimonio è addirittura l’elenco degli iscritti che Conte non sa più a chi chiedere. O pensa di poter ottenere solo grazie ad un‘Autorità di garanzia che non ha potuto non prendersi tutto il tempo necessario anche ad essa per venire a capo di quel ginepraio improvvisato dal comico genovese.

Anche nel passaggio delicato ai vertici del Dis il povero Conte è rimasto solo nella sua ira o delusione attribuitegli dai giornali, vista la fretta con la quale il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il reggente del movimento 5 Stelle Vito Crimi hanno espresso il loro compiacimento: il primo anche per la possibilità offertagli di piazzare un fedelissimo al posto di segretario generale della Farnesina.

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